Dedicato a Marienetta Jirowsky
Ogni addio è un viaggio, ogni fine una partenza. Ogni separazione un nuovo inizio. Non c’è modo migliore. C’è una stretta al cuore ogni volta. Il viaggio ha inizio. Un pullman che parte, una nave che stacca le ancore, un aereo che decolla. È quello l’attimo in cui l’aria inizia a mancare.
Qualcuno ha detto che il viaggio è l’essenziale, non la meta. Guardare dal finestrino o dall’oblò, chissà, godere del paesaggio, amare le curve della vita, i ponti dell’amore, le gallerie della paura, le valli della gioia e le cascate dell’eccitazione. Dovrei vivermela così, pensò Elga mentre scriveva la sua lettera d’addio alla famiglia. Ma adesso dalla finestra della sua camera i gelsomini della nonna non si vedevano più. Gelsomini, nonna e madre erano rimasti al di là del muro che aveva diviso il grande giardino della famiglia Schneider.
La notte del 12 Agosto del 1961 qualcuno aveva deciso che a Berlino servisse un muro per proteggersi dai veleni del settore occidentale. L’operazione Rose era iniziata all’una del mattino. La signora Schneider quella notte era rimasta a vegliare l’anziana madre cieca in Bernauer Strasse. Elga rimasta il padre e la servitù di casa capì solo nei giorni a seguire che non avrebbe più rivisto la madre per molti anni. Di anni ne erano passati già dieci. Dieci anni in cui lei e la sua amica Marienetta Jirkowsky avevano immaginato la fuga più volte. Un pensiero andò anche a lei. Impugnò la matita e l’appoggiò al foglio ancora bianco. Caro padre fu tutto quello che riuscì a scrivere mentre i ricordi la travolgevano. “Quest’anno il gelsomino è sbocciato più bello”. La voce lontana della mamma che passeggiava nel giardino sottobraccio alla nonna.
“Bello come?”, chiedeva lei che da tempo guardava il mondo solo con gli occhi della memoria.
“Bello come le nuvole e il cotone in un giorno di maggio”, rispondeva la mamma allegra.
Cosa mai ricordassero alla nonna le nuvole e il cotone in quel giorno di maggio Elga non l’aveva ancora scoperto. Ma aveva imparato che quelle erano le parole magiche per farle ritrovare il sorriso. Riprese a scrivere la lettera. Spiegò al padre che quella notte avrebbe sfondato il Checkpoint Charlie a bordo del Pullman Bmw che Derek aveva corazzato per l’occasione. Lasciò la busta sul cassettone all’ingresso, chiuse la porta e se ne andò. Aspettò alla fermata dell’autobus di Friedrichstrasse l’orario convenuto. Prese aria a pieni polmoni per paura di non riuscire a respirare. La Bmw con il fidanzato alla guida si fermò davanti a lei. Sfrecciarono senza dirsi nemmeno una parola verso il Chekpoint.
Il viaggio era iniziato, la separazione avvenuta. Le mancò l’aria. Ecco, ci siamo, pensò. La sbarra rossa era sempre più vicina. Poi lo scontro. Spari, stridore di lamiere, fuoco. I due ragazzi giacciono per terra sbalzati fuori dalla macchina. Derrik a stento s’inginocchia. Elga solleva appena la testa. Davanti a loro il cartello Berlino ovest. Il cartello più bello che avesse mai visto.
Bello come le nuvole e il cotone in un giorno di maggio.
Decine di altre donne in fuga dalla DDR ce l’hanno fatta. Marienetta Jirowsky no. Di lei rimane solo il nome inciso in una delle note Croci Bianche nei pressi del palazzo del Reichstag a Berlino.
Brava Sibilla Gambino un racconto di gran verità ma anche di gran senso poetico, è la prima volta che leggo qualcosa di suo ,cara Sibila , ma ne sono rimasta affascinata.
Grazie di cuore.
No io non è la prima volta che leggo la Gambino, mi piace molto crea atmosfere ed emozioni.
È un complimento bellissimo. Grazie.
Mi associo, scritto con partecipazione vera e emozione. Un ricordo da ricordare.
Maria
Grazie.