Dogman -l’ultimo film di Garrone
Si spengono le luci, lo schermo è nero, il cinema è assorto nel silenzio, quel tipo di silenzio che sa di aspettativa. A un tratto il muso di un cane feroce che ringhia in primo piano, scorrono musi di altri cani in gabbia impauriti e immobili. L’immagine si allarga e sulla scena si stagliano due figure: Marcello e la piccola Alida. Già dagli inizi del film lo stato d’animo dello spettatore sembra dover essere sul chi va là. Si viene proiettati in una periferia sul mare, che sembra abbandonata a se stessa, come lo sembrano i protagonisti di questa storia. E come se fosse lo speculare, umano dell’animale del primo frammento arriva Simone, ex pugile che terrorizza tutto il quartiere e bullizza tutti i commercianti della zona, compreso Marcello il “canaro”. Un tolettatore, che sembra in balìa delle decisioni e dei comportamenti di questo ragazzo. La storia si svilupperà in modo cruento, per alcuni versi, facendo sì che lo spettatore lasci la sala non sentendosi perfettamente in grado di riconoscere dove e quando la linea tra il bene e il male sia stata superata, durante la proiezione. Sta proprio lì, la bravura di Garrone, nel riuscire a creare quel senso d’inquietudine che, probabilmente, solo l’arte riesce a dare, sentimento amplificato ancora di più quando si viene a conoscenza del fatto che la storia proiettata è stata ispirata da una vera. La storia del “canaro”, di quello che ha compiuto, di cosa l’ha spinto a fare quel che ha fatto. E’ una pellicola con pochi dialoghi, che punta soprattutto all’impatto visivo, che sembra raccontare attraverso le immagini ciò che a parole potrebbe essere inspiegabile o divenire banale. Garrone ha avuto la bravura di riuscire a creare un film forte, su emozioni forti utilizzando pochi ambienti e niente di sfarzoso. Ha creato un mondo che potrebbe essere reale, che, purtroppo, è reale in alcune città, in alcuni quartieri, magari non allo stesso livello mostrato sullo schermo, ma che esiste, che volente o nolente, probabilmente, ha sfiorato ognuno di noi. Alla fine della visione, dopo aver superato l’incertezza che ti lascia dentro, uscendo dalla sala, le uniche domande che continuano a rimbombarti in testa sono: “Ma io cosa avrei fatto?”, “Ma perché è finita in questo modo?” “Poteva andare diversamente?”. Se un bel film è quello che arriva al fruitore e ne mette in dubbio le certezze, è molto probabile, che Dogman si possa definire tale.