I replicanti e noi

20 luglio 2018 di: Maria Adele Cipolla

Come tanti sono rimasta seriamente affascinata, visitando in un pomeriggio di luglio l’installazione Protocollo no. 90/6, a Palermo nell’ambito di Manifesta 12.

Si trattava di una video installazione nella Sala delle Capriate dell’Archivio di Stato di Palermo, tributo al regista Vittorio De Seta. Il video collocato al centro della sala trasmetteva i movimenti facciali di una marionetta di legno che interpretava il soggetto, animata da Mimmo Cuticchio e costruita per l’occasione dalla sua famiglia, regalandoci espressioni estremamente umane in un volto ligneo. Quello che mi ha colpito maggiormente è stata la capacità della macchina da presa di scavare nell’animo di un “io” replicante, smuovendo un’empatia che si completava con la narrazione del luogo: una sala spettacolare, grondante faldoni e scartoffie dal linguaggio banale della burocrazia prefettizia, che risalgono fino al 17° secolo. Fra queste carte gli autori avevano scovato delle informative della polizia riguardanti proprio Vittorio De Seta, cineasta spiato negli anni cinquanta, in quanto amico di comunisti e sensibile alle istanze sociali.

Questi i fatti, ma si sa che le opere d’arte mettono in moto pensieri e riflessioni e i miei di quel pomeriggio vagarono sul ruolo del replicante, nelle sue varianti e in relazione ai ruoli assegnati dalla moderna tecnologia. Siamo ormai in grado, infatti, di assegnare compiti stressanti e rischiosi a nostri alter ego; siamo in grado di produrre replicanti talmente simili a noi nello sguardo, nella morbidezza della pelle e nei movimenti da scambiarli per noi stessi; possiamo inserire ologrammi umani nella stanza in cui siamo, abolendo barriere spazio-temporali; siamo infine in grado di riprodurre l’intelligenza umana.

Ma noi umani, come iniziamo a relazionarci con i nostri replicanti? Questa nostra empatia capricciosa e selettiva che crea odiose priorità fra generi, fra abilità, fra razze umane, fra umani e animali, come inserirà il replicante nel suo mondo?

Il replicante, o alter ego, può avere molti aspetti: robot, marionetta, burattino, bambola sexi, bambola per gioco di ruolo, oggetto transizionale (ci sarebbe anche molto da dire sulle attribuzioni di genere nei replicanti); quella che è incredibile però è la capacità umana di affezionarsi ad ogni sua variante. Ad esempio: un prototipo di robot dall’aspetto brutalmente meccanico, sottoposto alla crudeltà dei test che ne provocano rovinose cadute, suscita pietà. Il robot Al che perdeva il senno nel film “2001 Odissea nello spazio”, faceva tenerezza. Io stessa provo affetto per il mio robot aspirapolvere quando si impiglia nei cavi elettrici. In effetti, il replicante è un altro da sé che può darti i piaceri di una relazione senza i suoi dolori: lo si può infatti gestire e manipolare e, in un mondo in cui la paura dell’altro fa da protagonista, in cui si preferisce incontrare le persone in rete piuttosto che in strada, i replicanti potrebbero costituire un’alternativa, vedremo in futuro quanto pericolosa.

Il discorso si fa lungo e complicato e per ora mi fermo qui, sperando di avere acceso la curiosità su un argomento insolito, che potrebbe diventare attuale

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