Non tutto il mondo è paese
E’ una delle ultime sere d’estate, l’aria inizia a rinfrescarsi, il sole sta per tramontare su Ponte Vecchio mentre un artista di strada inizia a preparare il suo concerto e la gente inizia a sistemarsi per potervi assistere. Sembra il frame di un film, ne stanno godendo sia la gente di passaggio che chi, come me, vive ogni giorno la bellezza fiorentina. Sto mostrando queste strade, questi vicoli, la nostra storia a una ragazza venezuelana: ha 22 anni ed è la prima volta che visita il capoluogo toscano. A un certo punto dice una frase che suscita la mia curiosità: “E’ così strano, qui si è liberi di poter uscire a quest’ora con il cellulare e il portafoglio in mano”, le chiedo come mai, una cosa per me normalissima, com’è quella di poter passeggiare da sola alle 20 per le strade del centro, per lei sia un evento più unico che raro. Mi spiega che in Venezuela da un certo orario in poi esiste una specie di coprifuoco, non si può uscire da soli perché ne va non solo delle tue cose (potresti essere probabilmente derubato) ma anche della tua vita (a quanto pare, è un paese molto violento, quindi, si potrebbe scatenare una reazione aggressiva, addirittura l’uso della violenza, per un telefonino). La sera, i ragazzi, non escono mai da soli e, se escono tutti insieme, sanno già che ritorneranno a casa l’indomani mattina con la luce, si muovono in gruppo, in macchina e non cambiano mai luogo, non si muovono da un locale ad un altro, perché potrebbe essere pericoloso. Parlando con lei, ai miei occhi, si apre un mondo che pensavo non esistesse, un mondo che mi fa apprezzare ancora di più la libertà che effettivamente noi abbiamo ma che sottovalutiamo ogni giorno. Tra un racconto e un altro cerchiamo di paragonare questi due universi che sembrano completamente diversi, parliamo anche dei mezzi di trasporto, le spiego che per andare al lavoro uso tutti i giorni il treno e lei mi lascia di stucco affermando che in 22 anni non ne ha mai preso uno. La linea ferroviaria in Venezuela non esiste o comunque non collega benissimo le città: gli unici modi che si hanno per muoversi sono o l’auto o i pullman. Quando ci salutiamo, mi sembra di essere salita su una soffitta disabitata da anni e di averci guardato dentro trovando quello che 50 anni fa sembrava normale, ma la cosa che mi lascia più interdetta è che quello che per noi è semplice e quotidiano, per lei sia una cosa rara, che per lei sia, attualmente, una cosa particolare e questo mi ha fatto riflettere su quanto, ogni tanto, i detti non ci azzecchino molto, perché, a quanto pare, che “tutto il mondo è paese” non è poi così proprio vero.
Bravissima. Apprezziamo un po’ quello che abbiamo, e che ci è costato tanta fatica!”