Ciao Bice
Daniela Dioguardi mi comunica che è scomparsa Bice Salatiello Mortillaro. Aveva 90 anni. E’ un altro pezzo di storia di Palermo, delle donne di Palermo, che scompare. Bice ha dato tanto a questa città, ha dato il suo impegno, il suo entusiasmo, e pure il suo dolore, dopo la perdita del figlio Gabriele da lei amatissimo, perché mai ha lasciato che lo strazio inaridisse la sua voglia di fare. Da qualche anno, per ragioni d’età, la si vedeva poco, ma io la ricordo, attivissima, sorridente all’Udi di Palermo quando, negli anni Ottanta, le donne ancora si riunivano periodicamente per elaborare saperi e riflessioni sulla politica cittadina e sui percorsi da compiere insieme. A ripensarci oggi, sembra di parlare di archeologia. Con immensa tristezza e con tutta la tenerezza che posso, pubblico di seguito una piccola scheda biografica della carissima Bice scritta da Amelia Crisantino, perché forse tante ragazze che non l’hanno conosciuta, e non sanno nemmeno cosa hanno perso.
“«Nella mia vita ho fatto tutto tardi» sorride Bice Mortillaro Salatiello, mentre ricorda il suo affacciarsi alla politica dopo avere cresciuto tre figli, di cui uno, Gabriele, ambientalista morto mentre guidava un’escursione sul fiume Alcantara. Siamo a Palermo e Bice è un punto di riferimento per moltissime donne, che ne conoscono il quotidiano impegno sociale. Lei è stata sempre testarda, con tanta voglia di autonomia, decisa a non esaurire la vita nell’unico ruolo di madre. In un anno simbolico, nel 1968, anche se è già laureata si iscrive alla Scuola di Servizio Sociale; negli stessi giorni la sua primogenita è fra i ragazzi che occupano l’Università. Con candore lei adesso dice «volevo recuperare il tempo perduto». Sembra niente, ma è il più rivoluzionario degli obiettivi. Specie se “recuperare il tempo” diventa decisione di non sprecare nemmeno un giorno, e se il bisogno personale riesce a trasformarsi in progetto comune. Bice comincia a lavorare nella periferia urbana. Fa tirocinio a Borgonuovo in una zona di edilizia popolare, dove le assistenti sociali aiutano gli abitanti che lottano per avere servizi dall’amministrazione. Lei ricorda «assemblee sempre affollate. Con noi c’era un parroco, bravissimo». Poi va a lavorare a Bonagia, per conto di un ente regionale di edilizia popolare che s’era ritrovato con le case abusivamente occupate. Quindi, arriva nel quartiere con un ruolo già stabilito. Ma le circostanze spingono lei e la sua collega a mettersi dalla parte degli abusivi: le case erano state ultimate da anni e mai assegnate; la scuola rimaneva vuota e chiusa, chissà se per ritorsione verso i bambini figli degli occupanti o per banale disservizio. I problemi erano i soliti di Palermo, il quartiere formato da alcuni palazzoni in mezzo alla campagna conservava un suo nome rurale – Fondo Musacchia – ma era già periferia degradata. Lei adesso dice «a fare politica me l’hanno insegnato gli operai del cantiere navale, che avevano occupato e lottavano per ottenere i servizi». A casa di una donna del PCI c’era una sezione dell’UDI, Bice comincia il lavoro con le donne e le riunioni al mattino, quando i bambini sono a scuola. Anni belli, pieni di voglia di fare. Le lotte erano per diritti minimi, ma la solidarietà era tanta. E ricorda di quando nel quartiere Bonagia nemmeno ci arrivava l’autobus, con l’ufficiale motivazione che la strada era troppo stretta. Ma un giorno un intoppo nel consueto tragitto costrinse l’autobus a percorrere proprio quella strada “troppo stretta”: allora le donne, cioè i cittadini che più degli altri soffrivano l’isolamento e la mancanza di servizi, scesero da casa in vestaglia e pantofole e occuparono l’autobus, chiedendo un capolinea. Nei quartieri popolari si rischiava di morire per aborto, e le donne di Bonagia diventarono visibili. «Quando andavamo alle manifestazioni, lo striscione delle donne di Bonagia poteva anche aprire il corteo. Partecipare era una scelta coraggiosa, ma rischiavano di continuo. Avere coraggio era obbligatorio».Nel 1972 Bice entra a far parte dell’Assemblea nazionale dell’UDI, da indipendente: «non avevo la tessera del PCI ma il partito si voleva aprire, in quel momento le indipendenti erano utili». Le leader di riferimento erano Anna Grasso e Lina Colajanni, vivevano su uno scomodo crinale fra il Partito Comunista Italiano e il movimento femminista: e in fondo erano pensate come inaffidabili, sia dal partito che dal movimento. Bice cercava di mediare, adesso pensa che «era paradossale, un po’ buffo» ma allora la frustrazione era tanta. Ricorda le giovani donne che si avvicinano all’UDI «tutte splendide, determinate» e l’UDI a Palermo ha avuto un percorso di autonomia dai partiti che è da ricordare, tutto da ricostruire, «ma purtroppo non abbiamo scritto niente». La divisione con le femministe comincia a colmarsi quando chiedono di incontrare le donne dell’UDI: «eravamo assieme quando la polizia caricò il nostro corteo, credo per la legge sull’aborto. Ci unimmo anche quando il sindacato tentò di scipparci l’8 marzo». Gli anni ’80 di Bice sono pieni di militanza femminista, di lotte per i diritti dei più deboli e di impegno culturale nella Società italiana delle storiche. Nell’88 fonda assieme ad altri volontari l’Associazione Laboratorio Zen Insieme, di cui è presidente, e da allora ha lavorato a lungo con le donne e i ragazzi del quartiere. Racconta di iniziative che sembrano piccole, sono minuscoli segmenti per costruire il diritto alla cittadinanza e al futuro. Iniziative che spesso si scontrano col muro di gomma delle istituzioni, in una città distratta e lontana che scoraggia la speranza”.
Il ritratto è di Francesco Francaviglia, fotografo palermitano, che qualche anno fa è andato a cercare le “donne del digiuno”, le protagoniste della storica protesta attuata a Palermo dopo le stragi del ‘92 a piazza Politeama, le ha immortalate, ha voluto raccontare la loro silenziosa rivolta. E ha ricordato il valore della loro lotta rendendole opere d’arte in mostra a Palazzo Ziino a Palermo. “Le donne del digiuno oggi sono tornate in campo – spiegò il fotografo – l’unica cosa che è cambiata sono i segni del tempo sui loro volti, ma la forza, il coraggio e la passione, in quei volti bellissimi, sembrano essere gli stessi di sempre”.
Oggi è un giorno triste. Non aggiungo altre parole a quelle di Sandra e di Amelia se non ringraziarle per la loro testimonianza che bene racconta la nostra grande e indimenticabile amica.
Oggi Bice sarà ricordata a Villa Trabia, e fu proprio in quel luogo, nella lunga battaglia per la sua liberazione, che mi investì per la prima volta con la sua richiesta fulminante, quella che faceva a tutti: “è dello Zen che dovete occuparvi!” Prima o poi riusciva a trascinarvi tutti, e bastava un pomeriggio per tornare a casa con lo Zen appiccicato addosso, perché tutto era sfiancante in quelle battaglie: progetti iniziati dopo faticose questue, interrotti per mesi e poi ripresi quando non sapevi più dove erano finite le tue donne, e si doveva ricominciare tutto d’accapo, girando fra le insule a bussare a ogni porta. Ma lei non mollava, è riuscita in tanti anni a creare asili, doposcuola, è riuscita a levare tanti ragazzi dalla strada, dare un’istruzione alle donne, prepararle al lavoro. E ora i suoi progetti vengono portati avanti da persone che sono cresciute con lei, è un bilancio positivo, ma sempre circoscritto all’ambito del volontariato. Ma a lei non bastava, lei pretendeva che tutto questo fosse fatto dallo stato, non era molto da chiedere ma non è stato fatto. Lei chiedeva cose semplici: il capolinea di un autobus, i servizi primari per ogni quartiere, e in tutti questi anni ogni conquista della città è stata portata avanti con la consapevolezza e il senso di colpa di quello che non si stava facendo allo Zen, luogo dell’anima sofferente, metafora di tutte le periferie del mondo. E se prima allo Zen ci pensava Bice, ora Bice non c’è più e tutti gli Zen del mondo ci stanno piombando addosso.
ho avuto difficoltà in questo periodo con il computer ma vorrei dire qualcosa su Bice che ho conosciuta nelle lotte al quartiere Kalsa per la scuola, divorzio e aborto. E’stata un grande e sensibile amica, una donna che dimostrava spesso forza e debolezza insieme come tutte le persone vere. Soprattutto vorrei ricordarla anche per il suo appassionato ripercorrere la storia della sua parte di famiglia argentina e quella delle sue zie ,donne vissute in un contesto emancipato di cui era fiera e di cui l’università di Palermo le pubblicò un piccolo ma interessante libro .Questo non mai perdersi d’animo e guardare al punto anche se costava sforzi e grandi fatiche, e spesso lacerazioni familiari, la tenevano in piedi le davano la forza di andare senza ipocrisie e questo per ottenere soprattutto giustizia fra le donne nel sociale.