Femminismo da Abya Yala

19 novembre 2018 di: Mimma Grillo

La presentazione del libro di Francesca Gargallo che si farà alla Casa Mediterranea delle Donne (Palermo) martedì 20 novembre è un’occasione per incontrare Valeria Manca, romana, traduttrice e curatrice dell’edizione italiana del libro, e farle qualche domanda.

Le chiedo  di spiegarci che significa Abya Yala e che si intende per femminismo da Abya Yala. -“Abya Yala – risponde Valeria – è il nome che gli indigeni danno al loro continente ritenendo che la denominazione America sia solo un’invenzione coloniale. Il libro riporta il resoconto di un dialogo, vissuto sul campo, con le donne che hanno costruito partendo dalla loro realtà nelle diverse comunità indigene (ne sopravvivono 607) una propria idea sul modo di essere donna in quelle comunità e sul ruolo politico, culturale e sociale che la donna ha all’interno di quelle comunità. Secondo l’autrice, che ha compiuto un viaggio di 6 anni incontrando le varie comunità indigene del Continente, questo suo lavoro può rappresentare un primo passo verso l’ascolto di voci che emergono da sistemi politici e teorie della conoscenza non occidentali e da femministe le cui lingue e sistemi di genere non sono quelli imposti dalla colonizzazione cristiana, spagnola e lusitana, risalente a più di cinque secoli fa. Ma io non ho fatto – continua Valeria – una traduzione letterale del libro di Francesca Gargallo, ho proposto una sintesi che può considerarsi un tentativo di far conoscere i punti più importanti di questo continuo dialogo che le donne “invisibili” dell’America Latina stanno portando avanti con tenacia e determinazione consapevoli del fatto che continuano ad essere escluse dal programma della “modernità emancipata” poiché appartengono a paesi dove “perfino” gli uomini sono espulsi dalla storia.  In effetti posso affermare che in America Latina attualmente solo nei municipi autonomi del Chiapas in Messico, o nei comitati di difesa per una legge ed una educazione propria in Colombia, o nelle forme di organizzazione sociale e politica della Confederazione delle Nazionalità Indigene (CONAIE) in Equador, si possono vedere tutte le micro-congiunture che si intrecciano, anche nelle tematiche di genere, in una società che si autorappresenta. Tutti gli altri popoli indigeni subiscono un controllo etnico da parte del sistema politico nazionale che si manifesta nella negazione del loro potere giuridico ( sia per gli uomini che  per le donne ). Frutto di questa negazione è anche il fatto che spesso le donne dei popoli originari devono confrontarsi paradossalmente con le femministe occidentali che rifiutano il sistema di genere proprio delle comunità di Abya  Yala perché lo considerano troppo legato ai codici “anti-moderni”  dei riferimenti culturali di quelle comunità o troppo legato alla sopravvivenza sociale. Il femminismo occidentale – conclude Valeria – non tiene abbastanza in considerazione il fatto che le donne dei popoli originari dell’America Latina  sono componenti attive delle lotte dei loro popoli  e che quindi la prima identificazione e solidarietà la sentono con il proprio popolo”.

Partendo questo dato ineludibile ci dobbiamo quindi forse chiedere : perché il femminismo occidentale non riconosce le idee delle donne indigene come parte della riflessione sulla liberazione delle donne? La discussione è aperta.

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