Notizie di seconda mano

9 gennaio 2019 di: Salvatore Mazzeo

Un paio di giorni fa, L’Espresso e La Repubblica hanno condiviso, sulle  loro rispettive pagine Facebook, un articolo, pubblicato sull’ “autorevole” sito di informazione Business Insider a firma Alice Mattei, dal titolo scandalistico quanto fantascientifico: “Caracas non esiste più: quella che una volta era una metropoli scintillante, ora è una città fantasma”.

Gli articoli volti a screditare l’operato del governo Maduro oggi, così del suo predecessore, rappresentano da decenni un topos letterario molto apprezzato e seguito nei paesi occidentali, fra cui il nostro. Sono numerosi gli esempi di notizie diffuse da importanti riviste internazionali e rilanciate acriticamente dalle testate nostrane, che raccontano di un paese devastato, di donne costrette a partorire in strada, ospedali evanescenti, elezioni truccate, violazioni dei diritti umani. Rivelatesi sempre e invariabilmente false. In particolare, nell’articolo in oggetto, la Mattei, citando il The Guardian (che in quanto a Venezuela non può di certo essere definita come una fonte imparziale), descrive la capitale venezuelana come una città devastata, una “enorme baraccopoli, senza luce e gas, in cui il cibo scarseggia”.

L’articolo è accompagnato da un’immagine dal carattere apocalittico, raffigurante un villaggio invaso da un’onda di fango che si riversa in una voragine. La didascalia recita “una bidonville allagata a Los Erasos, alla periferia di Caracas”. Peccato però che la foto risalga a un’alluvione avvenuta nel dicembre 1999, ben 19 anni fa, a meno di un anno dalla prima vittoria elettorale di Hugo Chavez. Il Partito Socialista Unito Venezuelano (PSUV) era, infatti, al potere da solo nove mesi (febbraio 1999), un periodo di tempo indubbiamente troppo breve per ridurre la città scintillante “più glamour dell’America Latina” in una baraccopoli. Per di più, la foto non rappresenta la periferia di Caracas, ma una città nello stato di Vargas, a 60 km dalla capitale.

Non è mia intenzione, in questa sede, entrare nel merito della situazione politica ed economica venezuelana, né discutere di come “la città più fiorente e più glamour dell’America Latina” cui fa riferimento l’autrice fosse in realtà la capitale di uno stato con fortissime disuguaglianze, in cui poche famiglie ricche detenevano il 90% della ricchezza mentre la maggioranza della popolazione viveva in povertà, né tantomeno ipotizzare che “i buongustai, i nottambuli e gli appassionati d’arte” potessero essere, in realtà, turisti statunitensi che consideravano l’America latina, il loro cortile di casa e che oggi invocano l’intervento militare degli USA in Venezuela. Non posso però esimermi dal far notare che l’uso di una foto vecchia di 19 anni per supportare una notizia di attualità, oltre a costituire un falso ed un’operazione eticamente e deontologicamente scorretta, rappresenta una vergognosa strumentalizzazione di un evento idrogeologico (quello sì) catastrofico in cui persero la vita almeno 25.000 persone. La brutta figura, oltre ad essere emblematica della faziosità del Business Insider nei confronti del governo venezuelano, è l’ennesimo esempio di come le più importanti testate giornalistiche italiane non siano più in grado di distinguersi dalle migliaia di pagine Facebook ricettacolo di bufale e “fake news”. Ma se le pagine Facebook sono scevre da qualsiasi autorevolezza e non sono tenute a rispettare alcun codice deontologico se non il regolamento del social network, i quotidiani e i periodici registrati dovrebbero porsi come punti di riferimento per permettere ai lettori di discernere fra notizie vere e notizie false, e non rendersi complici, se non responsabili della disinformazione sempre più diffusa nel nostro paese (con le drammatiche conseguenze di cui siamo oggi testimoni). Dispiace, soprattutto, che il principale gruppo editoriale italiano si riduca a dar risalto a notizie di seconda e terza mano, senza alcuna attenzione al controllo delle fonti, momento imprescindibile per garantire un’informazione di qualità. Nel caso specifico sarebbe stata sufficiente una velocissima ricerca su Google immagini.

 

 

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