Le donne, le mafie

5 febbraio 2019 di: Gisella Modica

Si è svolto a Livorno il 18 Gennaio 2019, promosso dalla Società Italiana delle Letterate e organizzato dall’Associazione Evelina De Magistris, l’incontro Le donne, le mafie:  ambivalenze, contaminazioni. Una lettura differente

Dopo l’introduzione di benvenuto di Paola Meneganti, presidente dell’Associazione, ha preso la parola Gisella Modica coordinatrice dell’incontro. Tenuto conto che le letture proposte dall’antimafia maschile di sinistra non sono attente alla molteplicità di piani, alle sfumature complesse, alle ambivalenze del fenomeno Mafia, definito “un necro potere che esercita col terrore una forma di violenza epistemica sui corpi umani, e in particolare delle donne, temute e disprezzate”, si è evidenziata la necessità di una lettura “femminista” delle Mafie. Una lettura che tenga conto, cioè, del posizionamento di chi legge, le sue motivazioni, le domande, il desiderio che la sostiene, sapendo che non ci sono risposte definite ma queste possono arrivare solo dall’accadere delle relazioni che si vengono a instaurare nel procedere del lavoro. Solo così è possibile operare quel “taglio” sul simbolico dominante che lo contrasti e lo risignifichi alla luce della differenza sessuale. Dopo aver citato i pochi esempi di lettura “a partire da sé” (Renate Siebert Donne e Mafia del 1994; il testo collettivo curato da Angela Lanza “Ho fame di giustizia” ripubblicato nel 2011), è stata evidenziata la scarsa presenza di narrativa femminile sul tema della Mafia, riferendosi con ciò alla scrittura creativa, ai romanzi piuttosto che a quella saggistica o di testimonianza di cui abbondano invece i testi, a partire da quelli di Anna Puglisi. La parola è quindi passata a Alessandra Dino che ha parlato del suo testo A colloquio con Gaspare Spatuzza, un racconto di vita, una storia di stragi. Un’intervista al pentito incontrato in una località segreta. Un “itinerario di ricerca” che si trasforma “in attraversamento esistenziale” di fronte a “un uomo dalle tante vite”. Un testo “ibrido” che dà conto del processo di contaminazione tra mondi limitrofi che ha fatto da sfondo agli incontri, la cui ambiguità, piuttosto che essere un ostacolo, è ciò che meglio poteva rappresentare la verità di questo racconto.

Cristina Bracchi partendo dal racconto della sua esperienza d’insegnante torinese che ha accompagnato gli allievi in Sicilia, con la guida di Addio Pizzo, per conoscere la realtà dei beni confiscati, ha parlato del suo incontro con Luisa Impastato e della necessità della memoria, per poi tornare sul tema della scarsa presenza di romanzi sul tema della Mafia citando come esempi Maria Rosa Cutrufelli con Canto al deserto e Dacia Maraini con Sulla Mafia.

Cristina Giudice ha parlato dell’artista visiva Eva Frapiccini che attraverso la documentazione fotografica di appunti, agende, lettere, oggetti dimenticati e rinvenuti ha posto l’attenzione sul valore della testimonianza intima e privata come singoli percorsi di lotta nella guerra di mafia da parte di singoli individui, giudici, agenti di scorta.

Stefania Tarantino ha tracciato delle linee di continuità tra mafia e camorra definita un sistema/potere onnipervasivo e al contempo invisibile che mette al lavoro la totalità delle esistenze, la “nuda vita”, i sentimenti, le emozioni. Un potere che non si vede ma che agisce sulle coscienze e sui comportamenti le cui ricadute non possono essere più leggibili in termini economici. Argomento trattato nel numero della rivista on line ADA Teoria femminista del 2006 “O’ Sistema”.

L’intento dell’incontro, ha sottolineato Gisella Modica, è politico, ovvero l’individuazione di nuove pratiche creative in grado di fare fronte al sistema Mafia “in continua trasformazione. Intendendo per “creative” il processo messo in atto per modificare in modo inventivo la personale relazione con un contesto, trasformandolo. Sono state portate ad esempio le pratiche di resilienza delle sindache della Locride; quelle delle donne del digiuno di Palermo del 92 dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio; le modalità agite dalle collaboratrici di giustizia calabresi e siciliane per opporsi a mafia e ‘ndrangheta, le quali hanno capito che educando i figli erano l’anello di congiunzione dell’ordine mafioso, e si sono “sottratte”, facendo vuoto, aprendo una crepa all’interno del sistema. Ma anche la modalità di Felicia Impastato, che, a partire dal dolore per l’uccisione del figlio, come le Madres di Plaza de Majo, lo ha socializzato e ha “tenuto in vita” il figlio aprendo la stanza di Peppino ai giovani di tutto il mondo che vengono a visitarla.

Rimane aperta la domanda se esiste un nesso tra “l’ingombrante assenza” di narrazione femminile sulla mafia – quella che chiama in causa l’immaginazione, che “tenta di catturare l’essenza vitale delle cose” (Cutrufelli) – e l’individuazione di pratiche politiche creative.

L’incontro si è concluso con una lettura di Anna Barsotti, docente di drammaturgia a Pisa, di Cani di Bancata di Emma Dante, spettacolo sulla mafia nelle vesti di Mammasantissima, una madre divorante e senza regole che tutto concede e tutto toglie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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