Ogni storia è una storia d’amore
” Dicono che l’amore sia l’unico balsamo per chi ha nel cuore un dolore inspiegabile, e quindi irraggiungibile. Paul Celan lo aveva imparato nei campi di sterminio, quel dolore. Una poetessa provò a prestargli l’alfabeto per dirlo, ma neanche la poesia riesce a trasformare il dolore in bellezza, se il dolore è muto”.
E’ così che inizia uno dei capitoli di “Ogni storia è una storia d’amore” (2018) di Alessandro D’Avenia: Ingeborg. Questo viaggio attraverso le vite di scrittori, registi, poeti, pittori che vengono raccontate dal punto di vista dell’amata, della moglie, dell’amante, di colei che non si cela dietro il grande uomo, ma accanto, che addirittura lo rende tale, facendo sì che scopra dentro di sé ciò che lo renderà la personalità/persona che verrà conosciuta in tutto il mondo. Donne forti, famose tanto quanto i propri compagni, donne che hanno supportato e sopportato menti geniali e che lo sono state a loro volta. Nell’intermezzo di questa tela, ci si ferma a prendere un po’ di respiro e si cerca di trovare il bandolo della matassa attraverso il mito di Orfeo ed Euridice. Attraverso la mitologia, si cerca di dare un senso, di descrivere una mappa di quelli che sono i racconti nel racconto. Tema centrale del romanzo è: L’amore salva? “Perché una cosa è l’eros, un’altra è l’amore, una cosa è guardare una persona dalla finestra sul cortile, un’altra è entrare nella sua stanza e ascoltarla e capirla e tollerarla e correggerla.” Ma è l’amore cavalleresco che dobbiamo aspettarci? Quello del principe azzurro sul cavallo bianco? O quello che ci permette e ci insegna a sentirci più noi stessi, a far sì che il meglio dell’altro fuoriesca e viceversa?
“L’amore spoglia l’uomo del suo disamore e lo conduce in una terra straniera e promessa, dopo il deserto di chi cerca l’altro solo per confermare se stesso. (…) Si espone alla morte solo chi sa amare. Chi sa amare acquista una capacità impossibile: quella di morire.”. Il riconoscersi nell’altro, come diceva Heidegger, l’essere coscienza perché si ha un altro io di fronte a sé che permette che io possa essere ciò che sono, è questo ciò a cui ci riporta, alla fine di questo libro, alla fine di questo viaggio la parola dell’autore. Che ci siano stati Leopardi, Dostoevskij è sì stato possibile per il loro genio ma anche per quello di coloro che gli sono stati accanto. La donna, in queste pagine, non è la principessa da salvare, è un’antagonista buona della personalità dispersiva, e alle volte distruttiva, del genio.