Printemps des Arts di Montecarlo
Era un mondo musicale anticonvenzionale quello di Mauricio Kagel, nel suo sperimentare ogni sorgente sonora, invadendo anche i campi del cinema e del teatro. Antidogmatico, Kagel amava mettere in scena la musica e una sua immagine, -anticonvenzionale appunto e per questo significativa- è stata scelta dal direttore artistico Marc Monnet per tutti i supporti di comunicazione della 35esima edizione del festival Printemps des Arts di Montecarlo (15 marzo -14 aprile). “Kagel è molto vicino allo spirito del festival, che è quello di incuriosire, porre degli interrogativi, cercare nuovi approcci all’ascolto”. Ecco quindi “quella” foto, utilizzata nel 1972 per un disco del compositore argentino scomparso nel 2008, per la brochure e i manifesti: “Il musicista è a torso nudo, il volto truccato in maniera strana, esotica; la copertina del catalogo è senza scritte, obbliga chi la guarda a sfogliarla per capire, dalla seconda pagina, che si tratta del festival”, spiega Monnet in un incontro negli uffici del festival.
Cinque fine settimana e nove diversi luoghi di Monaco, dal celebre Hotel de Paris, alla liberty Salle Garnier, dall’auditorium Ranieri III al Museo Oceanografico e alla grande sala del Grimaldi Forum. Anche nel programma di quest’anno tradizione e innovazione si mescolano, passando dal barocco al contemporaneo. Prime esecuzioni assolute, ma anche scelte classiche: l’integrale dei concerti per pianoforte di Beethoven con François-Frédéric Guy, pianista e direttore della Sinfonia Varsovia; il compositore in residence Alexandros Markeas e Heinrich Schütz, grande esponente del barocco tedesco con Les Cris de Paris; la forma del quartetto per i capolavori beethoveniani con i Quartetti Diotima, Parker, Signum, Renaud Capuçon; il 900 con Bartók e l’orchestra della BBC e Stokhausen con la sua Oktophonie; una notte interamente dedicata al pianoforte e la musica tradizionale della Mongolia.
Il fantasma di Kagel si aggira come un folletto a scuotere il pubblico in molta parte del programma, con ritratti a lui dedicati e in apertura dei concerti, com’è accaduto prima dell’esecuzione di un quartetto beethoveniano in un’autoironica composizione per bandoneon che nulla aveva di argentino. E infine, ma non certo in ultimo, le Voyage surprise, il viaggio a sorpresa, momento imprevedibile del festival monegasco, un concerto del quale il pubblico non sa nulla, né luogo, né programma.
Fuggendo da una Montecarlo blindata già dalle 10 del mattino per l’arrivo del premier cinese, domenica 24 marzo si è partiti in pullman verso Nizza e una doppia sorpresa: il programma, sconosciuto persino all’ufficio stampa italiano del festival, la palermitana Marta Romano, era diviso in due parti e in due luoghi specularmente contrapposti: una chiesa tradizionale, l’Eglise du voeu per madrigali del ‘500; dall’altro, nella vecchia Nizza, il cantiere della chiesa sconsacrata dei Francescani risalente al 1200, densa di storia e di memorie e di cambi d’uso – deposito, ghiacciaia, stalla- , ora oggetto di scavi e di restauri, per la prima esecuzione assoluta di Shadows di Yann Robin e un pezzo di Kagel. Qui l’atmosfera, i suoni sembravano “il lato oscuro della luna” rispetto alla bellezza luminosa dei madrigali nella Eglise du voue. Ma se la sorpresa nella seconda parte del voyage consisteva certo nel concerto ma soprattutto nello straordinario cantiere normalmente chiuso al pubblico, nella prima parte il viaggio scopriva una storia straordinaria non solo musicale: il mitico Concerto delle dame di Ferrara, riproposto dall’ensemble La Venexiana e tre soprani con alcuni dei più belli madrigali di Lazzaro Luzzaschi. E’ all’interno delle mura della Corte di Alfonso II d’Este e della sua quarta moglie, la giovanissima Margherita Gonzaga, che nasce nel 1580 questo ensemble strettamente femminile che per il virtuosismo e la bellezza delle voci sarebbe diventato un fenomeno sociale, culturale e persino politico conosciuto in tutta Europa. Riservata a pochissimi scelti invitati, diplomatici stranieri e ospiti illustri, la Musica Reservata -della quale il Concerto di Dame fu la massima espressione- diventò il segno di appartenenza a un circolo intellettuale esclusivo. Di proprietà del duca di Ferrara (i brani musicali erano addirittura tenuti segreti) ha per protagonisti Luzzasco Luzzaschi, visionario compositore e concertatore, lo stesso Alfonso II che sceglie i testi poetici e soprattutto tre dame aristocratiche al servizio della duchessa Margherita, tre donne di notevole bellezza dalla straordinaria tecnica strumentale e dalle voci impagabili: Laura Peperara, fascinosa intellettuale e virtuosa dell’arpa, della quale si invaghirà Torquato Tasso; la cantante e suonatrice di viola da gamba Livia D’Arco; Anna Guarini, la più famosa, suonatrice di liuto dalla voce splendida e figlia del poeta Giovan Battista. La morte del duca Alfonso II nel 1597 ma soprattutto l’assassinio brutale – e rimasto impunito- di Anna Guarini, accusata di adulterio dal marito Ercole Trotti, ossessionato dalla gelosia e dalla segretezza delle notti a corte di cui era protagonista assoluta la moglie, chiuderà quell’inimitabile esperienza che entrerà immediatamente nella leggenda.