La didattica flessibile nella scuola “inclusiva”

8 maggio 2019 di: Magdalena Marini

Lorenzo Baglioni racconta in una sua canzone le difficoltà di Marco, un ragazzo innamorato di Alice, una compagna di classe: lei gli ha lasciato un biglietto e, siccome per lui leggere è “più difficile che andare a nuoto in Messico” legge: “L’arome Secco Sé” … Se non fosse stato per l’emozione e per la dislessia avrebbe letto: “Io l’amore non so che cos’è” … Nella variegata realtà della scuola italiana sono tanti gli alunni e le alunne come Marco e cioè con DSA, Disturbi Specifici di Apprendimento: dislessia, disgrafia, disortografia, discalculia. Sono tanti anche gli alunni con BES, Bisogni Educativi Speciali a causa d’iperattività, disturbi evolutivi, disturbi dell’attenzione, in situazioni familiari e psicosociali problematiche, “oppositivi”, comunitari ed extracomunitari. Sono soprattutto tantissimi quelli che, come Laura, i compagni di classe e gli insegnanti di Marco, non sanno cosa sono e non riescono a capire queste difficoltà… Spesso si parla di dislessia associandola unicamente al rendimento scolastico, ma, come il cantante (ex insegnante) fa notare, questo disturbo interessa tutti gli aspetti della vita di un dislessico. Parlare di “inclusione” scolastica comporta una flessibilità che assicuri il superamento di quella didattica uniforme destinata a un modello di alunno medio astratto. Giacomo Cutrera, vice-presidente dell’AID (Associazione Italiana Dislessia), spiega in modo efficace come non si possa prescindere dalla flessibilità in una scuola inclusiva: “Immaginiamo che la classe sia una scatola piena di chiodi dove, casualmente, sono finite delle viti. Se dalla scatola l’insegnante estrae una vite e con un martello la conficca nel legno, penserà che il “chiodo” sia difettoso perché non entra nel legno. Ma se, osservandolo meglio, si accorge che è una vite, allora si servirà dello strumento adatto: il cacciavite per farla entrare nel legno, e noterà subito che la vite funziona benissimo! Chi lavora nella scuola ha una forte responsabilità nei confronti dell’educazione e della trasmissione del sapere: deve affrontare una sfida quotidiana, saper riconoscere le differenze, riflettere sugli stili cognitivi, rivedere le diverse forme di comunicazione, accantonare il nozionismo, evitare gli esercizi ripetitivi e le verifiche standard, uguali per tutti, che non consentono di valutare i reali processi di apprendimento di ciascuno e che generano sterili confronti e  anacronistiche collocazioni degli alunni di una classe in “fasce di livello”:  base, medio e alto… Gli insegnanti tutti, non solo quelli di sostegno, dovrebbero condividere obiettivi, finalità, metodologie in risposta al grido d’aiuto di chi convive con un disturbo di apprendimento: “Se non imparo nel modo in cui tu insegni, insegnami nel modo in cui io imparo”, realizzando percorsi personalizzati proprio perché gli stili cognitivi e le potenzialità di ogni ragazzo sono diverse.

5 commenti su questo articolo:

  1. Lucia scrive:

    Argomento interessante. Segnalo il film “Stelle sulla terra” facilmente reperibile in Internet che racconta sapientemente la storia di un bambino di nove anni dislessico. Mi ha spesso aiutato ad affrontare il problema in classe con i miei alunni

  2. Benedetta scrive:

    Ci sono insegnanti che vogliono che gli alunni siano tutti uguali nella scuola. Vorrebbero uniformare il modo di insegnare in nome della libertà di insegnamento. Sono rigidi. Non si rendono conto che esiste anche una libertà di “imparamento”. Lo so che non si può dire ma rende l’idea…

  3. Clara scrive:

    Sono d’accordo con Benedetta che non bisogna come insegnanti considerare che gli alunni siano tutti uguali, ma, come evidenziava uno slogan di qualche tempo fa che essi sono, “diversamente uguali”. E’ chiaro quindi che questa diversità non deve essere ignorata o rifiutata, ma rispettata e valorizzata. La scuola non ha il compito di omologare gli individui, come una fabbrica che produce esemplari tutti uguali, La scuola deve creare individui che esprimano in maniera diversa la loro personalità, le loro capacità, le loro conoscenze, che poi metteranno al servizio della società.

  4. Nuccia scrive:

    Molti insegnanti purtroppo pretendono che gli alunni siano tutti uguali. Non è mai stato così e non lo è adesso anche perché la società è cambiata e con essa anche l’uomo. Molti ragazzi vivono situazioni difficili e dovremmo essere noi insegnanti a cercare soluzioni il più possibile positive per loro. Purtroppo c’è anche da dire che la maggior parte degli insegnanti vorrebbe la classe perfetta, ragazzi studiosi, educati e senza problemi per poter svolgere così “il programma”. Per me la soddisfazione più grande è vedere un ragazzo dislessico, oppostivo o con qualsiasi altro problema, raggiungere anche il minimo obiettivo.

  5. Vittoria scrive:

    Un articolo molto interessante e “obiettivo” che, ahimè, sottolinea quanto la categoria docenti sia “quasi” sorda allo spaccato di società studentesca di questi ultimi decenni. Nell’istituzione in cui lavoro solo in questi ultimi anni si sta prendendo in seria considerazione questa problematica e gli strumenti ci quali devi farvi fronte… con iniziale difficoltà…perché,si sa, la problematicità della faccenda comporta una “assunzione corale di responsabilità” che,in quanto tale è estremamente difficile assumere a cuor leggero…eh già, a “cuor leggero”…io credo che sia anche questo il “punto” : far fronte ai bisogni educativi specificamente intesi dosando il cervello(preparazione tecnica in merito) e cuore ( empatia ed emozioni nel prendere coscienza e affrontare la didattica differenziata).

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