C’era una volta ad Hoolywood
Se prendiamo l’ultimo film di Tarantino, se pensiamo di vederlo in lingua originale in un teatro degli anni 20, potremmo immaginare l’inizio di un altro film, una pellicola dentro la pellicola, com’è, del resto “C’era una volta ad Hoolywood”. Protagonisti l’attore Rick Dalton (Leonardo Di Caprio) e la sua controfigura Cliff Booth (Brad Pitt). Il primo vive il declino della propria carriera, che va di pari passo con il declino della propria vita, mentre il secondo è sì la controfigura di Rick nella finzione, ma nella vita reale risulta essere più una spalla, un amico, il “risolutore”, un personaggio alquanto misterioso che ha su di sé una reputazione non proprio limpida. L’esistenza di quest’ultimo si incrocia con quella di una comune, nello specifico quella costituitasi attorno a Charles Manson e che diventa il trait d’union sia con il sottofondo storico della trama che con la coppia di vicini di Rick Dalton: Sharon Tate e Roman Polanski. Di questi ultimi riusciamo a vivere attimi sparsi di vita, soprattutto di Sharon, Tarantino ci mostra come, con l’aiuto e la recitazione dell’attrice Margot Robbie, si possa omaggiare qualcuno utilizzando pochissime battute ed abbandonando il più alle espressioni facciali. Si tratta di un meta film dove la realtà può e viene rovesciata completamente, alla maniera di Tarantino, anche se non in maniera prepotente come ci si potrebbe aspettare da un regista del suo genere. Sul finale qualcosa sembra regalarci questa pellicola, un epilogo romantico, forse, al quale nessuno avrebbe mai pensato, che sembra essere un regalo, sia al pubblico, sia a chi quei tempi li ha vissuti veramente. Nella pellicola si mescolano, così, la nostalgia per il cinema che sembra non esserci più, con la voglia di novità.