A occhi chiusi
Venerdì 17, esco presto per ritirare delle medicine dopo settimane di #iorestoacasa e mi accorgo che i miei occhi, come quelli di molti, sono ancora chiusi.
In un’atmosfera quasi surreale vorrei spingermi oltre. Oltre un viale di saracinesche abbassate, oltre lo stradone deserto, oltre le parole di un avviso che recita “nel pieno rispetto delle norme di prevenzione chiudiamo il nostro negozio fino a data da destinarsi”… , oltre quella data da destinarsi.
E allora lascio i miei occhi chiusi ancora un po’ e oltre mi spingo con la mente mentre il corpo si arresta davanti un gazebo di un bar immobile al 8 marzo u.s.. I miei pensieri prendono a parlarmi e mi sussurrano forte che non andrà bene, nulla andrà bene e, questo non perché è venerdì 17 aprile 2020 e sono qui a Palermo, ma perché l’Italia si ostina a combattere a colpi di “norme”, ovvero “squadre”, come suggerirebbe la sua etimologia, un fenomeno che tecnici e medici ancora non sono capaci di misurare.
Ad occhi chiusi, tutti, ci muoviamo in ordine sparso distanziati almeno da un metro di distanza tra la regola e l’azione, tra la causa e l’effetto, rischiando di tracciare un percorso costellato da una routine di errori. Condizionati dalla paura decidono per noi su economia, salute e felicità e ad occhi chiusi senza alcun autocontrollo oggi la razionalità serrata dalle emozioni mi dice che non andrà tutto bene.
Non andrà tutto bene se il Paese non riparte, se non riprendiamo a fare i calcoli con entrate e uscite, se non torniamo “abili e idonei all’economia”, se non riaprono negozi, imprese, bar, ristoranti, alberghi, ecc…
E, allora, vedo ad occhi chiusi, oltre le vetrine e le luci spente di quel bar, i guanti che preparano quell’espresso italiano che mi permetterà di riaprire gli occhi chiusi e le serrande abbassate. Ora, adesso, prima che possa riascoltare la voce di un quinto contaminato e razionale pensiero che riecheggia tra un battito e sorso di caffè solo sognato: non andrà tutto bene!