il sari rosa

7 giugno 2010 di: Angela Lanza

Davanti ad un uditorio foltissimo, Sampat Pal è arrivata alla Casa Internazionale delle Donne in via della Lungara a Roma, per presentare il suo libro “Con il sari rosa” e i cinquant’anni di lotta che l’ha vista impegnata dalla sua nascita ad oggi.

«Esiste – dice Sampat – in India un vasto sistema di aiuti per i poveri ma questi ultimi, specie nei villaggi, non lo sanno, non fanno domanda per averli e gli aiuti vengono dirottati nelle tasche di sensali e piccoli poteri locali sotto l’occhio chiuso della polizia che ne ricava anch’essa un vantaggio». A tessere questa enorme rete di assistenza per le campagne e i villaggi, prima per le donne poi anche per le caste più deboli, Sampat è arrivata dopo una lunga storia personale che l’ha vista sposata a 12 anni con un matrimonio consumato due anni dopo, prima che lei avesse le mestruazioni. Questa prima notte di nozze le procurò una seria lacerazione alla vagina e fu ricoverata d’urgenza in ospedale. Lei dice che, se non ci fosse stato questo inizio, probabilmente il suo carattere battagliero si sarebbe un poco calmato con l’andare del tempo. Ma questa ferita, rimasta sempre aperta, l’ha invece portata a fare della lotta in favore delle donne il suo obiettivo primario. La storia comincia con Sampat bambina che sfugge alla guardia delle piantine di riso nel campo a lei destinato dalla famiglia, perché scopre che esiste la scuola e, quindi, si accoda ai piccoli alunni sedendosi in un angolo per imparare, e via via si snoda fino al matrimonio, ai rapporti di sottomissione con la suocera di cui si libera andando a vivere per conto proprio, trascinando con sé il marito. La storia va avanti con le battaglie per i diritti di parità e contro le esclusioni delle caste più basse, nell’Uttar Pradesh arretrato, fra i più poveri dell’India; con l’acquisto di macchine da cucire, tramite un fondo cassa di gruppi di donne povere a cui lei insegna a fare sari e pantaloni da vendere. O anche ad avere un reddito nella gestione in proprio di vendite al mercato. Durante un meeting in cui ha notizie di donne emancipate e più libere, con cui viene a contatto, si entusiasma perché le si apre un mondo di nuove possibilità.

Usa con le donne, che intende aiutare a la dimostrazione che anche lei, come gli uomini, ha due occhi e due gambe e ce la può fare come loro soprattutto se «insieme alle altre donne», prova prima tutte le strade: della persuasione, del coinvolgimento, delle petizioni e denunce alle istituzioni. Se nessuna di queste riesce, allora usa il bastone, quello della sua casta dei Pal, i pastori, i più poveri, che lei ha imparato ad usare fin da bambina badando alle mucche. A poco a poco ha insegnato anche alle altre donne con cui lotta ad usarlo: molte lo sapevano già usare. E il sari rosa, che le donne hanno voluto per distinguersi, è la loro armatura. Qualcuno delle donne presenti le chiederà: «Ma quante siete?» E Sampat risponde attraverso la traduttrice: «Centocinquantamila, circa». Ma tiene a chiarire: «Noi siamo un gruppo che si regge sulla solidarietà, le cui appartenenti si aiutano a vicenda. Il mio ruolo consiste nel dare la spinta, fornire sostegno morale e accompagnare le donne nel loro percorso; non nel fare il lavoro al posto loro». Nel marzo 2006 nasce ufficialmente questa onda rosa, che fa paura a chi non vuole che le cose cambino. La novità di questo movimento politico, che le protagoniste chiamano Gulabi gang (la banda rosa), è quella di inserirsi in una consapevolezza precisa tutta al femminile in cui, partendo dalla sessualità e dalla repressione fisica e psicologica, molto spesso si fa carico di problematiche più generali e quindi investe le condizioni di arretratezza delle caste, occupandosi anche dei diritti degli uomini, per esempio contro i bramini che la fanno ancora da padroni.

Una visione di giustizia e diritti che si forma in base alla propria coscienza, e rivendica il rispetto di quelle leggi che sono a favore di una migliore redistribuzione del reddito. Non solo. Tiene conto della propria visione femminile sul mondo e valuta di volta in volta i modi e le condizioni dell’intervento. Molto ci sarebbe da dire anche alla luce delle nostre lotte politiche nelle campagne per la distribuzione delle terre, o durante l’occupazione delle casa a Palermo, in cui le donne non poterono avere un ruolo primario come lo stanno tenendo per adesso in Uttar Pradesh  (e il movimento si allarga via via a tutta l’India). Su tutto questo una riflessione sarebbe opportuna.

Commenta questo articolo:







*
AdvertisementAdvertisementAdvertisementAdvertisement