scoperte e ri-scoperte

19 luglio 2010 di: Monica Lanfranco

Sarà l’età, ma non riesco a non restare basita di fronte alla incresciosa e impunita volgarità della pubblicità che usa il corpo femminile come quarti di bue e il doppio senso a sfondo sessuale.

Nonostante sappia a memoria ogni passaggio del documentario di Lorella Zanardo, Il corpo delle donne, e nonostante da mesi abbia deciso di eliminare la tv, ho una dolorosa contrazione allo stomaco quando una nuova, becera pubblicità che vedo per la strada mi tira un ceffone mentre, purtroppo, sono costretta a guardarla.

Difficile evitarne l’impatto, visto che si tratta di un cartellone di 30 metri quadrati, posto in alto mentre sono al semaforo. Questa volta si tratta della comunicazione di saldi ad un outlet: lo slogan è «Bella scoperta». L’immagine è semplice: un amorino con le alette che, con una manina e lo sguardo birichino, solleva la parte davanti della gonna, cortissima, della modella, che sorride.

Sotto la vestina c’è buio, le mutande non si vedono, ma l’effetto generale è sufficiente per crearmi disagio. Nella mia biografia c’è un episodio molto simile, riaffiorato alla vista del cartellone. Avevo 12 anni circa, era estate e stavo ai bagni. Una coppia di ragazzi, sui 16/17 anni, mi bloccò in un pomeriggio afoso tra le cabine mentre passavo con una amica. Dato che mia madre era contraria ai costumini da signorina, (ovvero i due pezzi che allora erano inutili perché il seno ancora era da venire, ma che le mamme delle mie coetanee autorizzavano), il mio costume era un semplice slip alto di spugna. I capelli corti contribuivano a creare un effetto di ambiguità, anche se era piuttosto evidente che ero una femmina, pur senza abbellimenti leziosi. Per puro sfregio e bullistico senso di potere i due mi incastrarono tra le cabine, dicendo: «Vediamo un po’ se sei un maschio o una femmina», e presero l’elastico del davanti del costume guardandoci dentro. Fu solo un attimo, poi riuscii a scappare. Ma l’umiliazione mista a rabbia, stupore e sgomento mi sono rimaste, evidentemente, radicate per decenni. I due bulli chissà dove saranno, già autorizzati allora e rafforzati ora a sollevare tessuti ed elastici, così come i loro eredi di oggi.

Ma davvero a tutti gli uomini sarebbe gradito essere continuamente trattati come pezzi di carne da spogliare? Nello sfondo c’è la convinzione che la sessualità maschile sia predatoria e compulsiva, e che quella femminile, a specchio, sia in continua, disponibile, offerta.

Una amica di 26 anni mi ha raccontato che lo scorso week end un suo collega coetaneo, fidanzato da tempo, ha chiuso la porta della camera d’albergo mentre stavano lavorando di sera, dando per scontato che siccome erano lì da soli lei sarebbe andata a letto con lui, senza che lei avesse dato segnali in quella direzione. Al no della giovane il ragazzo si è difeso dicendo che le donne, comunque, ‘provocano’. Chiunque sostenga che la società e la cultura in questo paese sono andate oltre il patriarcato mente, e fa dei danni a dare per scontata una evoluzione che è molto, molto lontana.

(Annie Leibovitz fotografa Mark Wahlberg in stile pubblicità Coppertone, per Vanity Fair dicembre 1993)

4 commenti su questo articolo:

  1. Stefania Savoia scrive:

    Mi piace leggere articoli come questo.Mi sento confortata nel sapere che non sono un’esagerata, che questo modo di vedere le donne come pezzi di carne al mercato non provochi solo a me profonda indignazione.Grazie

  2. ugo scrive:

    La mercificazione del corpo, e nel caso specifico del corpo femminile credo a malgrado sia ormai un non problema, in quanto derivato sociale di ben altri sintomi involutivi del rapporto sociale tra sessi.
    Mi spaventa molto di più la mercificazione dei sentimenti, le barriere culturali del non accettare, la mancanza assoluta del concetto di fatica come valore integrante d’obiettivo, così come la mercificazione dell’orrore che rende sempre più tutto più accettabile e possibile.
    Nella battaglia per le pari opportunità bisogna fare un salto strategico, iniziando a discutere sulle questioni profonde e culturali, continuo a pensare che mi incute più sgomento la possibilità di vedere continuamente corpi dilaniati, infanzie fiolate, strazi quotidiani come generi di consumo che una nudità femminile armonica e custode del potere divino della procreazione.

  3. anna trapani scrive:

    Ugo, lei parla, forse inevitabilmente, da uomo, anzi, da maschio. Così facendo non si avvede che il “potere divino della procreazione” proprio perchè divino andrebbe protetto da tutte le mistificazioni comprese quelle del consumo pubblicitario. Quanto alla “nudità femminile armonica” direi che il dna maschile erompe in questa frase in tutta la sua potenza: un corpo femminile (armonico, ovviamente!) non la disturba anche se sbattuto in copertina per pubblicizzare ciò che si potrebbe pubblicizzare benissimo senza tanta carne in primo piano. E’ un danno collaterale, diciamo così, di secondo ordine per lei che guarda con sdegno all’infanzia violata e altre brutture. Ha mai riflettuto che di violenza si tratta in ogni caso e il passo è troppo breve da un tipo di violenza all’altro? Indignarsi senza riflettere vale a poco. La violenza purtroppo si declina in vari modi ma quella contro le donne che sia “cartacea” o reale nasce dalla sopraffazione maschile come per quella contro l’infanzia.

  4. francesca scrive:

    Sono asolutamente d’accordo con Anna Trapani. Non credo che si debba aggiungere altro a quanto ha detto.

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