rose, mimose e fiori di cactus con Susanna

16 novembre 2010 di: Gisella Modica

Mi sarebbe piaciuto – ma si tratta solo di un desiderio e dunque va preso come tale – che Susanna Camusso da neosegretaria della Cgil, e con l’autorità che le deriva dall’essere una donna che in più si dichiara femminista, cosa che le fa onore (è stata promotrice della manifestazione contro la violenza “Usciamo dal silenzio”), nella trasmissione di Fabio Fazio di qualche settimana fa, parlando di lavoro, avesse anche detto che le donne da quando sono entrate nel mercato del lavoro, oltre a portare professionalità e competenze, fanno qualcosa di più importante: cercano di tenere insieme quello che l’attuale organizzazione del lavoro maschile separa. Ovvero, il tempo del lavoro col tempo della vita. Che le donne insomma, se potessero scegliere, preferirebbero che il lavoro non fosse altra cosa dalla vita, come fanno solitamente i maschi.

Mi sarebbe piaciuto dicesse che le giovani donne, malgrado il precariato, insistono a volere lavorare e fare anche figli, e se dipendesse da loro sceglierebbero il partime per fare anche altro, non solo figli. Che insomma questa cosa non da poco, di cercare dignità nel lavoro e non fuori dal lavoro, che ne rivoluziona il senso, la esplicitasse, per poi aggiungere: signori miei questo tipo di lavoro e di economia legata solo al risultato del Pil, dei consumi e del reddito, che non tiene conto della qualità e soprattutto della relazione tra produzione delle merci e riproduzione sociale, cosa che tiene invece in piedi il sistema che altrimenti sarebbe già crollato, e anche questo non è da poco, mi ha stancato. Forte delle elaborazioni, su questo argomento, di autorevoli economiste come Antonella Picchio – la quale sostiene che siamo in presenza di una «rimozione dell’esperienza femminile in materia di sostenibilità del vivere e che tale esperienza non può più essere relegata nella sfera domestica, separata da quella pubblica e ridotta a sofferenza personale, e che da qui bisogna ripartire per cominciare a parlare di un’altra qualità della vita» -, forte dunque di questo, avrebbe potuto dire: visto che i sessi sono due, non fosse altro che per un problema di alternanza democratica, mi adopererò, oltre che per avere maggiori asili nido, tassare le rendite finanziarie, ripristinare il reato di falso in bilancio e fare emergere il lavoro nero, perché il lavoro assomigli sempre più a come lo vogliono le donne, per il bene non solo delle donne ma di tutti.

Ecco, questo mi sarebbe piaciuto che avesse detto. Io allora dal mio divano avrei urlato: ecco finalmente una segretaria che riconosce la differenza tra essere uomo ed essere donna! Poi ho riflettuto e mi sono detta che si trattava di una delle sue prime apparizioni mediatiche nei salotti televisivi, che aveva milioni di occhi puntati su di lei, e non voleva che le appioppassero etichette di alcun genere. Come quella di genere femminista. Diamole dunque ancora del tempo, mi sono detta, e se son rose fioriranno.

2 commenti su questo articolo:

  1. Brava Gisella. Condivido il tuo pensiero. Anche io ho le tue stesse perplessità e mi sono chiesta le cose che ti sei chiesta tu aspettando dalla donna che si dichiara “femminista” un salto che rendesse visibile il suo essere donna, che avesse insomma quel “di più” di cui si teorizza. Dici di aspettare e stare a vedere. Vedremo se le rose fioriranno. Mi chiedo se essere femminista oggi è diventato altrettanto scomodo come dire di essere comunista. Avere letto Il tuo pensiero, che non è omologato con quanto si dice “oggettivamente” della Camusso mi ha fatto piacere perché così, se non altro, mi sento meno sola nell’essere difforme.

  2. luisa gallo scrive:

    Gisella anch’io ho mille perplessità, ma mi sono armata di pazienza e non pensandola come tutti paradossalmente dico come tutti: lasciamola lavorare poi vedremo

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