squali a scuola

18 novembre 2010 di: Paola Parlato

Gli insegnanti stressati sono insegnanti stressanti; non sono solo giochi di parole, ma lo stress che si respira a scuola diventa dannoso in due direzioni. Una è quella verso gli alunni e un’altra è quella verso se stessi. L’ambiente è il nostro specchio, e se la demotivazione insieme a una certa depressione prende il sopravvento, i rapporti fra docenti e fra docenti e discenti sono sempre più problematici. Invece di lavorare per gli stessi obiettivi ed essere perciò un corpo unico, si lotta l’un contro l’altro. Nasce il dissenso verso chi si attiva e lavora con coraggio e dedizione, il pensiero diviene bisbiglio, parola, azione, isolamento. Allora i principi educativi, l’obiettivo più importante, cioè la formazione di donne e uomini seri e consapevoli, vengono messi da parte.

La quotidianità routinaria e grigia, prende il sopravvento e fagocita; il risultato è che gli insegnanti sono sempre meno felici, sempre più stressati e un insegnante stressato non è a parer mio un buon insegnante. L’ambiente, come uno specchio, riproduce alunni infelici, stressati, demotivati, svogliati e incapaci di manifestare quell’interesse vibrante per lo studio che dovrebbe essere proprio di quell’età. Che fare? la scuola si trova veramente in questo baratro?

Non riconosciuti dalla società, con gratificazioni economiche ridicole, frustrati, gli insegnanti stanno diventando una classe senza appartenenza, senza aspettative con il desiderio di andar via. Che fare? Forse bisogna urlare che abbiamo un’identità, che non siamo dei fannulloni, che abbiamo il compito di plasmare persone che domani saranno i nostri governanti, i nostri politici, i nostri portavoce, e se diamo questa immagine cosa ricorderanno i nostri alunni di noi? Forse, che non vedevamo l’ora di andar via dalla classe, che scaricavamo tutto lo stress su di loro, che non facevamo il nostro lavoro con amore.

Cioè che siamo stati cattivi educatori, sicuramente.

(Sally Brown dei Peanuts, di Charles M. Schulz)

4 commenti su questo articolo:

  1. Stella Accardi scrive:

    Hai usato la parola “stress” troppe volte. Ma ti assicuro, sono docente, che gelmini ha prodotto sfaceli ma non ci ha “stressate” fino al punto da rincretinirci fino a trasmettere ansia agli studenti. Cerco, anche le mie colleghe, di far bene il lavoro e di non fare pesare la nostra “infelicità”. Se facessimo come dici non avremmo più alunne o alunni nelle aule e non avremmo dignità professionale. Anche se le cose vanno male coltiviamo la speranza che finirà questo periodo nero. Combattiamo e partecipiamo alle lotte per risanare la scuola pubblica, ma non siamo “cattivi educatori”. La nostra professionalità è più alta di quanto pensi. E poi mi preoccupa che ancora qualcuno possa pensare che a scuola si “plasma” e che i docenti debbano “plasmare”. Chi ha la pretesa di plasmare è di certo un “cattivo educatore”.

    • paola parlato scrive:

      Certamente non ho in mano nessuna verità ma solo il mio umile punto di vista. Vivo nella scuola e registro anch’io stati d’animo,tensioni e umori cattivi. Penso che molti insegnanti siano persone di grande valore e di sani principi,tuttavia da ex studente,da madre di tre studenti e da docente, penso che lo stress sia un veleno e che tutti ne subiamo abbastanza. Nessuno consapevolvente .almeno credo, trasmette ansia agli studenti per fare loro del male,ma arriva lo stesso. Ricordo ancora le mie mani fredde che stringevano altre mani fredde mentre il professore di greco interrogava..le ritrovo nelle lacrime di mia figlia che si rifiuta di andare a scuola perchè l’insegnante le mette ansia e le vedo nei miei colleghi che scaricano il loro stress sugli alunni. Quanto a plasmare gli animi,ho usato un verbo un po’ forte,non pretendo di plasmare nessuno ma so quanto siamo in grado di incidere sul comportamento esoprattutto sulla crescita dei nostri ragazzi.

  2. Laura Noto scrive:

    Sono d’accordo con Stella, l’articolo ha toni eccessivi che raccontano l’esperienza personale della Parlato, ma che sicuramente non possono essere generalizzati a tutte le scuole e a tutti i docenti. Esistono differenze sostanziali che non vengono messe in luce e che se non dette finiscono per mortificare la categoria dei docenti già abbastanza penalizzata. “L’umile” articolo della Parlato risulta parziale e un po’ offensivo. Abbiamo bisogno di coraggio non certo di docenti che danno addoso ai colleghi senza conoscere le realtà scolastiche e professionali diverse tra loro e facendo di un caso personale un esempio per mettere tutti nel mucchio. Anche io che sono un’insegnante e posso testimoniare che nella mia scuola lavoriamo e non facciamo pesare ai nostri alunni né ansia, né stress, senza trascurare di parlare tra noi dei tanti problemi che affliggono la scuola.

  3. Floc scrive:

    Complimenti per la capacità di queste insegnanti di mettersi in discussione! E di accogliere posizioni differenti!L’esempio offerto da Paola Parlato (quanto è offensivo usare quel pronome “della”! Quasi mai si fa per gli uomini, a meno che non siano dei grandi della letteratura, per esempio) è senz’altro esperienza vissuta, quotidianità che non riguarda solo (e tuttavia sarebbe sufficiente!) una singola docente, che mi pare abbia rivestito diversi incarichi nella scuola. Inoltre, tante e tanti docenti di esempi ne hanno sempre a iosa, vista la lunga carriera da precari e girovaghi che spesso costringe l’insegnante a cambiare scuola, alunni, colleghi, realtà territoriali e relativi bacini di utenza.
    Una volta si diceva “Il personale è politico”.

    Mi sembra lampante che lo stress “non detto” si rende senz’altro presente! Ma questo è Freud: non facciamo psicologia spicciola e poi…non serve! Piuttosto che analizzare, anche freudianamente (quanto siamo bravi e brave a farlo con l’altro da noi!), talune realtà a volte alquanto sconcertanti, mi ci metto anche io, proviamo veramente a chiederci cosa possiamo fare per migliorare noi in prima persona, necessario, ineluttabile e quanto mai sconosciuto punto di partenza.

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