cambia il mondo, cambia la Fiat

31 dicembre 2010 di: Simona Mafai

Non voglio sottrarmi a un tema difficile, e quindi coraggiosamente, – perché so che ci sono incertezze e pareri contrastanti – parlo della vicenda Fiat. A proposito della quale non c’è da schierasi da una parte o dall’altra, in una sorta di guerra tra lavoratori che si rifanno a un sindacato o ad un altro – ma c’è da guardare in faccia la realtà. Che è una realtà amara, che però non si cancella chiudendo gli occhi o evocando un passato, che ha visto memorabili conquiste, ma che da anni non c’è più.

Oggi viviamo un’economia a dimensione planetaria, dove un ex-ragazzo abruzzese, educato in Canada, è diventato amministratore delegato della più grande impresa automobilistica del mondo, e pochi giorni fa ha inaugurato, assieme all’ex Presidente del Brasile (una volta sindacalista) un nuovo stabilimento Fiat che sorgerà nel sud-est del Brasile stesso (a Pernambuco). Queste sono le dimensioni del problema, ed in questa partita i sentimenti valgono poco o nulla. Nessuno, se non un pareggio di conti economici, può costringere Marchionne ad investire decine di milioni di dollari (o sono centinaia?) in una località o in un’altra. Certo ci dovrebbe essere un’azione positiva del Governo nazionale, che dovrebbe e potrebbe mettere sulla bilancia misure particolari di agevolazioni fiscali od altro per favorire l’investimento in Italia a compensare i piccoli differenziali pro-lavoratori esistenti nel nostro paese rispetto agli altri; ma se tali misure non ci sono (e non ci sono state!) eccoli, nudi e crudi, l’una di fronte agli altri, l’azienda e gli operai che devono contrattare, anche duramente (e questo mi pare è stato fatto), per arrivare ad una decisione concreta, che difenda il lavoro presente e futuro di migliaia di lavoratori, salvaguardando al massimo le modeste facilitazioni civili (dimensione degli orari, interruzione dei turni per la mensa, libera scelta relativamente agli straordinari, ecc.), conquistate da due generazioni di lotte operaie in Italia, ma che la globalizzazione, con i costanti e cogenti confronti internazionali, mette quotidianamente in discussione.

Non tutte si potranno mantenere. Ma ciò che non è “negoziabile” è la questione dei diritti di rappresentanza sindacale valida per tutti, che del resto una legge da tempo giacente in Parlamento doveva definire e che adesso andrebbe rapidamente votata. Da parte dei datori di lavoro il fine è ridurre la pluralità delle rappresentanze sindacali nel corso delle trattative contrattuali e delle singole vertenze (e ciò non vale solo per la Fiat). Problemi duri e relativamente nuovi, nei confronti dei quali la difesa ripetutamente conclamata di status e diritti acquisiti non basta, perché questi non sono più automaticamente esigibili in un mondo violentemente competitivo e conflittuale come l’attuale.

Non condivido quindi la critica fatta al Pd, perché non avrebbe preso una posizione unitaria e netta in proposito. Non si è trattato, credo, di indecisione: ma di difficoltà reali nel confrontare opinioni diverse, senza demonizzazioni (una parte co-fondatrice del Pd è costituita da ex dirigenti e militanti della Cisl). Il Pd non è un sindacato, e deve giustamente tenere conto di tutti gli aspetti del problema, compresa la situazione economica e le prospettive di sviluppo produttivo del paese nel suo complesso. Probabilmente duole non affiancarsi direttamente e in toto alla Fiom; ma meglio questo che lasciare soli le migliaia di operai ed operaie che vogliono – con dignità – tornare ad un lavoro sicuro, che li sottragga alla triste prospettiva di rivendicare misure assistenziali e protezionistiche a carico del pubblico bilancio.

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