condannate al rogo della infelicità

14 dicembre 2010 di: Rita Annaloro

Vedendo una bella performance di Lucia Schierano in “Caterina, una Strega del Cinquecento”, talmente convincente nella parte delle torture che sono dovuta uscire dalla sala, mi è venuto da pensare come non si sia mai vista, né sentita alcuna storia di “streghe felici” che morivano in pace nel loro letto, avendo lasciato la loro eredità spirituale a una sorella più giovane.

Questi personaggi “magici” appaiono come figure di secondo piano solo nelle favole, e nessuno si è mai preso la briga di raccontare la loro vita, salvo forse per Mary Poppins. Ma in questo caso entriamo con “supercalifragilissimo” quasi in una burla. Le streghe di un tempo erano donne abili, sapevano elaborare erbe, curare mali allora sconosciuti, dunque diverse dalle altre, come in fondo qualunque donna moderna indipendente autonoma e dunque da dissuadere se non addirittura combattere. Anche il cinema ci ha, spesso, proposto la sofferenza delle donne che hanno scelto una vita indipendente, in alternativa a personaggi felici nel loro ruolo di madri, o mogli, o amanti o fidanzate. Le donne in carriera o le artiste vengono spesso raffigurate nell’immaginario collettivo come vittime o carnefici, penso a diversi personaggi di film americani interpretati, tra le altre, da Sharon Stone o a figure emblematiche come Frida Khalo o a Seraphine, per non parlare delle regine, da Fedra alla più recente The Queen o The Duchess.

Ma possibile che non si riesca a descrivere una donna autonoma e felice? Perché non si è mai fatto un film o un pezzo teatrale su qualcuno come Simone de Beauvoir, Leni Riefensthal, Doris Lessing o la regina Anna di Inghilterra, per non parlare di Peggy Guggenheim, Rita Levi Montalcini, o Mahalia Jackson? Ognuno di loro fu o è libera, indipendente, ha avuto dalla vita la sua parte di gioie dolori forza e coraggio forse di più, ma non sta a noi giudicare, di tenere madri di famiglia, non sempre madri per vocazione ma per coazione a ripetere sempre lo stesso ruolo.

Queste rappresentazioni della donna contribuiscono a rafforzare i luoghi comuni, a considerare la sofferenza come dato ineluttabilmente collegato, quasi naturalmente, alla voglia di indipendenza. In ogni fiction la parte drammatica ha spesso il sopravvento sulla parte gioiosa, a volte riservata alle premesse o alle conclusioni, mentre nella vita reale l’alternanza tra riso e pianto ci consente di superare difficoltà di vario genere. Un po’ di think pink in più forse ci darebbe maggiore forza e tramanderebbe alle giovani generazioni qualcosa di diverso dal concetto di donna seducente, sottomessa come la disegnano tutti i media, unica immagine femminile possibile.

Dunque belle, un po’ sceme e felici, come ci vuole il maschio. E a morte le streghe.

(vestiti da streghe di Halloween nelle collezioni moda 2010-11)

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