corpi di reato, la minaccia del pdl sull’autodeterminazione

25 febbraio 2011 di: Monica Lanfranco

Ingannevole, ideologico, autoritario.

Sono queste le tre parole scelte, non a caso, dal Comitato che sta raccogliendo migliaia di adesioni di intellettuali e di cittadini e cittadine comuni al sito <www.autodeterminazione.it> contro un progetto di legge su ‘Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento’, slittato di qualche giorno nella discussione parlamentare ma che incombe sulle nostre teste nella gigantesca confusione del governo e del suo premier, che oltre ad essere ormai da troppo tempo fuori ogni controllo accumula anche grottesche esternazioni, tra cui spicca quella secondo la quale sui «temi etici e scuole cattoliche il governo terrà conto delle indicazioni della gerarchia ecclesiastica», che detto da lui certo suona alquanto surreale.

Senza mezzi termini l’appello dice che se il testo delle Disposizioni fosse approvato nella forma attuale le persone vedrebbero gravemente limitati i propri diritti e sarebbero espropriate della possibilità di governare liberamente la propria vita e il diritto all’autodeterminazione, definito fondamentale dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 438 del 2008, sarebbe cancellato. Chi ha pensato l’appello non si limita a chiedere firme, ma ha messo anche a disposizione un documento analitico di valutazione del progetto di legge, già inviato ai parlamentari e rintracciabile sul sito: un modo importante per condividere saperi e riflessioni su un argomento, come in particolare il fine vita, che in Italia si fatica a discutere.

Quando, nel settembre 2009, un gruppo di donne, al quale partecipò anche Mina Welby, su invito della rivista Marea e di Erminia Emprin Gilardini si riunì a discutere di Corpo indocile e di autodeterminazione nelle scelte della vita e del fine vita, redigendo poi il numero della rivista dedicato a questo tema, l’intuizione era stata evidentemente quella giusta: in Italia, dopo la pesante sconfitta subìta con l’approvazione della legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita, era in atto un pericolosissimo attacco alla visione laica della libertà di disporre del proprio corpo, che aveva come primo atto la revisione in senso restrittivo della legge 194 sull’interruzione di gravidanza per poi passare, dopo i casi Welby ed Englaro, alla blindatura sui temi del fine vita.

Nella sua riflessione Emprin Gilardini scriveva: «Quando si parla di umanizzazione della medicina si pensa generalmente alla fragilità della persona malata nella sua qualità di assistita/o, consegnando chi esercita la professione medica a una dimensione sovrumana, alla quale si richiede non solo un sapere, ma la conoscenza del senso stesso dell’esistenza umana, di un lasciare o non lasciare nascere, vivere e morire che trascende uomini e donne fatti di carne, sangue, muscoli, ossa, storia e cultura, compreso il medico. Si costruisce così una figura dalla quale ci si attende che detenga e sia nello stesso tempo responsabile della competenza legittima su questi temi».

In questo progetto di legge l’alleanza terapeutica tra paziente e medico è sostanzialmente vanificata da un testo che pone ripetutamente il medico di fronte al rischio di responsabilità penali: il medico, quindi, sarà indotto a tenere comportamenti ‘difensivi’, dettati dall’esigenza di porsi al riparo da responsabilità, piuttosto che orientati all’autentico ‘bene del paziente’. Il consenso informato della persona è sostanzialmente cancellato: alla persona vengono imposti comportamenti e sottratte possibilità di decisione, si introduce un ‘obbligo di vivere’ in contrasto con la libertà di scelta del soggetto interessato, del suo ‘potere di disporre del proprio corpo’ (Corte costituzionale, sentenza n. 471 del 1990). Le dichiarazioni anticipate di trattamento altro non sono che una inutile macchina burocratica: inutile, perché prive di ogni valore giuridico vincolante e perché viene escluso che la persona possa esprimere la propria volontà proprio in relazione ai trattamenti sanitari che più possono incidere sulla sopravvivenza, come l’alimentazione e l’idratazione forzate.

Non è un caso che proprio i movimenti delle donne abbiano sempre messo in primo piano non solo la necessità di partire dal corpo anche e soprattutto se si parla di vita e di morte, ma anche abbiano perseguito, quando si è percorso il cammino legislativo, la strada normativa più aperta e inclusiva possibile.

I movimenti delle donne non hanno mai chiesto leggi escludenti, né per la regolamentazione dell’interruzione della gravidanza, né per la procreazione assistita. Il principio è sempre stato quello di permettere, laddove ce ne fosse il bisogno, che il soggetto femminile potesse accedere a dei servizi. Anche sulla questione del fine vita le richieste sono sempre state ispirate a questo principio; Peppino Englaro ha sempre detto di volere seguire il desiderio della figlia nel non essere tenuta in vita artificialmente, e mai ha sostenuto che questa fosse l’unica visione e scelta possibile.

E’ in gioco troppo della storia del pensiero e della pratica laica, per stare alla finestra a vedere come va a finire.

1 commento su questo articolo:

  1. Maruzza scrive:

    Vado subito a collegarmi con il sito che hai segnalato per firmare. Sono d’accordo con quanto hai scritto e diffonderò l’appello a firmare. non è accettabile la illogicità dei moralisti con la bava alla bocca, dei cattolici o dei politicanti da strapazzo che nel caso englaro hanno messo in piazza il loro disordine mentale, il potere assoluto di voler decidere sulla vita e sulla morte. non lo permetteremo!

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