donne, dove siete?

4 febbraio 2011 di: Gisella Modica

Donne dove siete, si domanda Concita de Gregorio, il cui appello è stato accolto nell’Urlo di Mezzocielo. Strano che una direttrice di giornale non lo sappia. Le donne sono dappertutto, come le ragazze cattive. Le buone stanno in Parlamento, a fare come gli uomini vogliono che facciano. Anzi se ci stanno è proprio per questo. Altrimenti di fronte a tanta arroganza del Presidente del Consiglio si sarebbero dovute dimettere già da tempo, non foss’altro che per dignità personale. Perché loro hanno scelto la via istituzionale per fare politica, e le forme parlamentari, oltre l’elezione, prevedono le dimissioni. Le altre, le cattive, che non hanno voluto scegliere questa strada, non si dimettono, e continuano a fare politica dove hanno scelto di farla, nelle associazioni, nelle imprese, in ufficio, in due o da sole, a tentare quello che il femminismo ha loro insegnato: mettere in politica il desiderio.

Lo dissero la prima volta negli anni 70, quando quelle a sinistra si defilarono dai loro partiti: la politica è “politica del desiderio”, e il conflitto primario non è tra le classi, o tra destra e sinistra, ma tra i sessi. Per tutta risposta furono rimosse, in tutti i sensi. (Quelle che non lo furono, di destra e di sinistra, lo furono in quanto replicanti). Da allora niente di quanto elaborato dal loro pensiero, fiumi di pensiero sulla vita e sulla politica, niente di quanto da loro realizzato, è stato mai preso in considerazione dagli uomini dei partiti, di destra e sinistra. Il risultato? il fenomeno Berlusconi, il berlusconismo, che ha capito che il problema del consenso – di prenderlo e mantenerlo – è intorno a quella zona oscura che si chiama appunto “desiderio”, o se si preferisce “sogno”. «Sono il sogno degli italiani» dice Berlusconi, godimento senza limiti.

Appropriandosi di quello spazio vuoto nel cuore degli italiani, rimasti orfani di senso, e di progetti di grande respiro che la sinistra un tempo sapeva dare. Il fenomeno non ha fatto altro che sollevare il velo, e scoprire quello che il femminismo ha sempre denunciato: il narcisismo omosessuale dei maschi italiani, e di una classe politica che fonda il suo potere sull’intreccio sesso-denaro. Connubio che con Berlusconi compie l’apoteosi. Tutto si può comprare, tutto si può fare, e dove non si arriva con le leggi, fatelo senza legge, e voi, ragazze, se siete belle potreste anche aspirare ad un posto in parlamento, oltre che nel mio letto. Anzi Berlusconi fa altro. La morale dei maschi italiani – padre di famiglia di giorno, puttaniere di notte – tenta di “normalizzarla” col suo comportamento. E l’opposizione in parlamento cosa propone in cambio? Impone le leggi («norme svuotate di desiderio», come dice Dominjanni), fa appelli ora alla magistratura, ora al papa perché facciano quello che lei, l’opposizione, politicamente non riesce a fare. E sulla scia di molti intellettuali e giornalisti non disdegna gli appelli anche alle donne: mogli, madri, sorelle, nonne e nipoti. Quasi che la responsabilità di quanto succede sia di quelle che non s’indignano, e non scendono in piazza. O delle prostitute che tolgono decoro ai condomini. Eppure è stata una escort la prima a denunciare il connubio che segna le istituzioni, dicendo quello che nessun uomo o parlamentare aveva fino a quel momento il coraggio di dire!

Che scendano in piazza invece di alzare le spalle, e fregarsene. Tranne poi a non riconoscerle come soggetto politico. Non dare mai loro la soddisfazione di dire che avevano ragione, che il conflitto è tra i sessi, e che la questione è maschile, e dunque sono i maschi che devono mobilitarsi, loro che non hanno fatto finora un solo gesto pubblico di dissociazione dal connubio sesso-denaro potere. Perché è questo il punto da cui partire, oltre che dall’economia che va a rotoli. Usare le donne come grimaldello è storia già vista. Come è già vista la storia delle donne che si tessono da sole le trappole, rispondendo agli appelli, o dividendosi in puttane, con la borsa e il giubbotto firmato, e sante dedite al sacrificio, al lavoro, alla famiglia e al volontariato. Non si può essere donne, di sinistra, e godersela, senza per questo essere puttane? Se una domanda dobbiamo farla, allora chiediamo agli uomini: dove siete? Chiediamo di smetterla di essere complici, e se mobilitazione dev’esserci, mobilitiamoci perché lo dicano in una pubblica assemblea. Non basta che lo facciano pochi uomini, i più sensibili. Non lo faranno? Però noi almeno abbiamo azzeccato la domanda giusta. Sono acida per questo? Non credo. Anche se la vita è agra, come diceva Bianciardi che nel libro parlava proprio di questo: dell’impossibilità di fare reagire i milanesi “al mostro” perché gli era finito il desiderio. E’ «una frecciata riduttiva nei confronti di una brava, secondo le nostre migliori consuetudini». Non mi pare che il femminismo questo me lo abbia insegnato.

(Hannah Arendt, Nilde Jotti, Alda Merini…donne…)

2 commenti su questo articolo:

  1. simona mafai scrive:

    La mia amica femminista Emma Baeri mi ha trasmesso un’espressione dolcissima: “amichevole dissenso”, che mi propongo di utilizzare. Affermo quindi il mio “amichevole dissenso” con le argomentazioni di Gisella. Sulle quali non mi dilungo con un altro articolo, perché sono temi già trattati giorni fa, tra i commenti alla rubrica “L’Urlo”. Non credo che Mezzocielo on-line debba trasformarsi in una palestra di dibattito, tanto meno in un ripetitivo botta e risposta, proprio tra le componenti della redazione.

  2. desidero suggerire alle amiche e compagne, per approfondire il tema/problema di cui si discute in tutta italia -stampa e siti vari- anche, come dice simona, in “amichevole dissenso” ma, a mio parere, produttivo e fecondo, di leggere quanto in proposito ha scritto giorni fa muraro e il contributo di dominijanni sul manifesto di oggi e ancora quello di melandri sul suo sito. Scendere in piazza è importante quanto capire, come stiamo tentando di fare, “il diritto e il rovescio di una mobilitazione”. Confrontarsi è utile perché il nostro pensiero, solo se c’è confronto, può dirsi veramente autonomo, consapevole e non meramente ideologico.

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