Ma i giovani dove erano?

15 febbraio 2011 di: Letizia Battaglia

13 febbraio 2011, data epocale per la città di Palermo. La gente è ritornata sulle strade, a manifestare il proprio pensiero. Qualcuno ha sussurrato che, sì, va bene, la gente c’era, ma era gente senza fantasia. E’ vero. Il corteo oceanico di donne uomini bambini è stato quasi silenzioso lungo tutto il tragitto Piazza Croci-Massimo ed una volta arrivati non c’è stato grande spettacolo. Poca musica, poca teatralizzazione del proprio sentire. La gente di venti anni fa, la stessa che pianse per Falcone e Borsellino e per tutti gli altri ammazzati, con qualche capello bianco in più, sfila quasi in silenzio. L’emozione è forte, paralizza. Quando tutto sembrava perduto, eccoci tutti insieme. Non si ha voglia di ballare e cantare, si ha voglia di cercarsi, di contarsi. Si, siamo tornati. Noi di venti anni fa. Un po’ invecchiati, un po’ segnati. Certo, se fossero arrivati con la loro energia quelli che hanno fatto tanto per la loro scuola e per la loro Università, gli studenti le studentesse di Palermo, l’allegria ci sarebbe stata, eccome se ci sarebbe stata la danza e la musica e l’energia fresca. Ma non c’erano. Chissà perchè non c’erano i giovani dei collettivi studenteschi. Me la pongo questa domanda. Erano a dormire? Una ragazzina liceale durante il corteo mi dice che a scuola nessuno le ha mai parlato di mafia, di corruzione o dei fatti più recenti della politica italiana. Io non le credo, non le posso credere, perchè di professori e professoresse ne ho viste tanti, anche con cartelli al collo, felici di esserci. Ma allora perchè i giovani non sono arrivati, non si sono organizzati? Sarebbe stato bello vederli arrivare da una via laterale, tutti insieme, agili e vigorosi e belli, solidali con il resto del mondo e non solo contro la legge Gelmini. Penso a Felicia Impastato che nel bel film Cento passi sussurra : “Ci sono, ci sono, sono arrivati.”

3 commenti su questo articolo:

  1. ornella papitto scrive:

    Cara Letizia Battaglia,
    quello del 13 febbraio, (io a 55 anni c’ero), era una manifestazione che voleva manifestare il disgusto personale, non di partito, non di sindacato, ma personale, strettamente personale, di ognuno che era lì.
    Il disgusto, purtroppo, storicamente, appartiene ai più maturi.
    La rabbia, invece, ai più giovani.
    Il silenzio era la musica che accompagnava il disgusto. Era l’unica colonna sonora possibile.
    Non era una festa.
    Era un corteo funebre, perché in Italia, la Democrazia sta morendo.
    Non c’era proprio niente da festeggiare.
    Così ho vissuto quel giorno, e adesso mi sembra ancora più importante il suono di quel silenzio.
    Con rispetto,

  2. Lucilla Baschi scrive:

    Cara Ornella,
    io ho 59 anni ed ero in piazza. La penso come te su tutto ciò che hai scritto. C’eravamo quelle che sempre ci siamo state. Donne che hanno dato sempre forti scossoni a questo paese governato da uomini. La rabbia, come tu scrivi, appartiene ai più giovani. A noi il disgusto e, ancora oggi, la forza che ci spinge ad esserci. Invece non sono stata presente alla retorica dell’8 marzo. Ho scelto di restare a casa.
    Grazie Ornella per le parole con le quali hai espresso quello stato d’animo nel quale mi sono riconosciuta. Grazie anche a Letizia Battaglia che ci ha offerto uno spazio di condivisione.

  3. ornella papitto scrive:

    Cara Lucilla, grazie per le tue parole.
    E’ , per me, importante poter comunicare i pensieri e le sensazioni ma, ancora di più, poter avere un confronto.
    Condivido pienamente sulla “retorica dell’8 marzo”.
    L’altro ieri, alla Vignicella di Palermo, ex Ospedale Psichiatrico, ho partecipato ad un convegno, organizzato dal periodico “Sottotraccia”, nel quale i relatori erano mediatori culturali, giovani stranieri ed italiani impegnati nelle associazioni di Palermo.
    Una bella mattinata. L’argomento era “l’integrazione”.
    Una bella scommessa, specialmente quando si intende l’assorbimento delle altre culture che devono rinunciare alle loro specificità e non invece, lo scambio e l’acquisizione di ciò che di meglio c’è in ogni cultura.
    Il rispetto è stata la parola usata più spesso. Erano tutti giovani. Era una bellezza stare insieme a loro.
    Tanta speranza e desiderio di continuare e non arrendersi.
    Con rispetto,

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