I battellieri del Mediterraneo

25 giugno 2011 di: Luthien Cangemi

La mattina prendo il caffè con qualche biscotto tanto per svegliarmi un po’, scendo per strada e do inizio alla mia giornata. Come prima tappa passo alle poste per pagare un paio di cose arretrate, e già il nome delle “poste” dovrebbe incutere timore a qualunque individuo sia al di qua che al di là dello sportello. Segue così l’attesa dell’autobus di 50 minuti, quando finalmente salgo, chiedo all’autista se l’AMAT possiede una tabella orari di cui possono disporre anche i cittadini, nel caso in cui volessimo evitare di marcire sotto il caldo sole di Sicilia, lui mi risponde che l’azienda per cui lavora è in coma, per cui anche gli utenti lo sono e non c’è alcuna speranza di progresso.

Scendo alla fermata della Facoltà, un po’ provata dalla prospettiva di un “coma sociale e aziendale” e mi reco in biblioteca per prendere alcuni libri in prestito; la bibliotecaria è anziana e sconfortata, mi confessa che il prossimo mese andrà in pensione e non c’è nessuno che occuperà il suo posto perché anche qua il turnover non c’è da anni, per cui chiuderanno anche quella biblioteca del dipartimento.

Esco dalla biblioteca e mi reco all’entrata principale della Facoltà per fumare una sigaretta. Vedo tanti gruppi di giovani che fumano e scherzano, altri che preferiscono il binomio fumare-contestare. Ebbene sì, si agitano nei discorsi che si accavallano: parlano di politica, di quanto siano disillusi dalle prospettive future, che il sistema dei crediti non da accesso ai concorsi a cattedra, dell’energia che avevano durante i primi anni di studio e adesso non ne hanno più, da quando il Sapere è diventato una questione di numeri che crescono in proporzione all’importanza di una materia nell’ambito del corso.

Non sono ancora arrivata all’ora di pranzo e ho visto gli Italiani che trascinano un’Italia malata, ho visto la povertà di spirito data dalla stanchezza e dalla frustrazione, la stessa che Ilya Repin attribuisce ai suoi “battellieri del Volga” . Uomini che trascinano faticosamente, legati come prigionieri da uno Stato padrone, la nave su per il corso del fiume Volga. Scene di vita che il realismo russo racconta. Gli stessi “Battellieri del mediterraneo” che vedo tutti i giorni trascinarsi per le vie della mia città. Eppure Repin dipinge un giovane, l’unico ragazzo tra uomini malati – rappresentazione di uno Stato che ha iniziato la sua parabola di declino, dove non si può più perseverare sugli stessi schemi di sfruttamento sui quali ha giocato finora -, questi cerca di divincolarsi dai lacci che gli cingono le spalle, ma soprattutto il giovane biondo guarda oltre. Il suo sguardo non segue nessun’altra direzione già presente nel dipinto; cerca con curiosità e un pizzico d’innocenza qualcosa che va oltre i suoi compagni di sventura, spinto da una voglia di progresso e miglioramento. Chi è che in Italia ha il coraggio di guardare con altrettanta innocenza al di là dei confini del tempo e dello spazio?

Repin e i suoi Ambulanti russi ci insegnano che c’è sempre un’altra possibilità: un battello fumante, nascosto all’orizzonte, s’intravede alla destra della nave trainata dai malcapitati. Un rimorchio che può sostituirsi alle fatiche dell’uomo, un’alternativa allo sfruttamento fisico dei russi dell’Impero zarista e quello psico-fisico degli italiani del XXI secolo.


2 commenti su questo articolo:

  1. Rosanna Pirajno scrive:

    interessante metafora, complimenti

  2. annaira ladidà ladidà scrive:

    concordo,metafora vincente davvero..amaro,ma tuttavia ancora un po’ speranzoso,realistico e combattivo,consapevole delle avversità ma incapace di arrendersi,come la valchiria che l’ha scritto!brava!

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