immigrazione, ne parliamo ancora

5 giugno 2011 di: Marcella Geraci

La catena degli eventi dell’immigrazione continua ad arricchirsi di nuovi anelli: dal barcone alla deriva con 209 persone a bordo, intercettato in una zona di competenza maltese, agli uomini e alle donne giunti a Lampedusa negli ultimi giorni. Si calcolano almeno 1.800 presenze nell’isola, alle quali se ne aggiungeranno presto altre, comprese le 2.000 persone previste per l’iniziativa di Claudio Baglioni. Anche i turisti attratti dallo spettacolo “Sùsiti Lampedusa”, messo in scena dal cantautore romano, possono infatti essere considerati, a pieno titolo, parte del bagno di folla dell’immigrazione.

In pochi mesi, le provenienze dai paesi del Maghreb hanno rappresentato un flusso consistente all’interno delle migrazioni. Già da tempo però i migranti “invadono” le pagine dei quotidiani, locali e nazionali, con l’unico strumento nelle loro mani e cioè le parole dei giornalisti e dei cittadini italiani. In che modo la presenza dei soggetti stranieri viene interpretata e assimilata dall’opinione pubblica del nostro paese? E quale identità viene fuori dalla lettura quotidiana del giornale?

Non è l’identità dei migranti l’unico aspetto da valutare e forse non lo è proprio, visto che a scrivere non sono loro. L’identità in gioco è invece la nostra. Attraverso il racconto dei fenomeni migratori, l’Italia parla di sé e costruisce nuovi significati di nazione e territorio, cultura e integrazione, sinistra e destra. I fenomeni migratori adempiono quindi a quella “funzione specchio” già efficacemente sostenuta da Abdelmalek Sayad e Alessandro Dal Lago. In particolar modo, i termini “extracomunitario” e “disperato”, in voga nel descrivere i migranti, appaiono particolarmente restrittivi e fuorvianti. Il primo significa infatti “fuori dalla comunità” e definisce una persona al negativo, come non appartenente alla comunità, quindi per ciò che non è. “Disperato” è infine uno che ha perso le speranze, mentre invece le migliaia di esseri umani che lambiscono le nostre coste rappresentano le forze migliori dei loro paesi, giovani con il coraggio di compiere un pericolosissimo viaggio e non perché disperano. Uomini e donne sperano invece in una vita migliore e intendono costruirla. Il nostro uso di queste parole sottintende una comunità ristretta e un luogo in cui approda chi ha perso le speranze. Stiamo parlando di una potenza industriale?

4 commenti su questo articolo:

  1. luciana scrive:

    Marcella sta svolgendo quasi una ricerca sull’emigrazione, mantenendo lucidità sull’argomento e dando a noi notizie interessanti, bene anche a voi di mezzocielo!

  2. Marcella Geraci scrive:

    Grazie a Luciana. Mi piacerebbe aprire un canale di discussione per affrontare crtiticamente ed in modo approfondito il tema dei migranti. Mi piacerebbe costruire questo percorso conoscitivo attraverso le domande di chi legge Mezzocielo. Tutto può servire: i dubbi da avanzare e le opinioni da sostenere. L’obiettivo è quello di avviare un dibattito che vada oltre la notizia degli sbarchi e che tenti di sfatare (o almeno di inquadrare criticamente, visto che non tutti la pensano nello stesso modo) gli stereotipi e i pregiudizi che proiettiamo quotidianamente sui fenomeni dei flussi migratori.

  3. Rossella Caleca scrive:

    Cara Marcella, sono pienamente d’accordo con te sulla rappresentazione così riduttiva, in definitiva errata, che i media danno dei migranti, influenzando così l’opinione pubblica con le conseguenze che vediamo. E’ molto interessante la tua idea di aprire un dibattito, spero che le persone – sono tante – che lavorano e fanno volontariato inquesto campo, e prima di tutti i migranti stessi, possano partecipare e comunicare le loro esperienze. Come sociologa, ho particolarmente apprezzato la tua analisi; ho avuto modo di intervistare molte donne immigrate di diverse etnie per una ricerca realizzata in collaborazione con il Dipartimento di psicologia – Unipa, ho scoperto un mondo di donne forti e determinate, orientate ad una crescita senza perdita, cioè alla conquista di nuovi ruoli e diritti, aperte all’innovazione nell’identità di genere, senza rinunciare all’identità etnica. Potrebbero insegnarci molto, sapendo ascoltare ed accogliere. La multiculturalità è una ricchezza che molti non sanno (ancora) apprezzare.

  4. Marcella Geraci scrive:

    Ringrazio Rossella. Sarebbe bello potere leggere, in rete, le tesi e i risultati di questa ricerca, proprio per tentare, con in mezzi che ciascuno ha a disposizione, di inserire nuovi contenuti e chiavi di lettura differenti da quelle solitamente utilizzate per scrivere e leggere le migrazioni.

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