la marcia degli industriali trevigiani

2 giugno 2011 di: Tino Zandigiacomi

Che gli industriali si schierino contro un governo di destra è una novità. Ma va detto che quelli di Treviso (nella quasi totalità Pmi, piccoli e medi industriali) si sentono poco rappresentati dal principale partito della destra. Il Pdl alle ultime elezioni di maggio 2011 ha perso buona parte dei suoi voti, al punto che a Villorba, un comune di 15.000 abitanti, la sua lista ufficiale ha avuto meno voti di quella della sinistra radicale unita. I piccoli industriali si sentono maggiormente rappresentati dalla Lega (partito “di lotta e di governo”) ma anch’essa ha perso 54.000 voti in provincia rispetto al 2010 e parte della fiducia della sua base sociale. Perché la crisi morde ancora pesantemente e non se ne vede la fine. Va ricordato che tra 2008 e 2009, ben 18 piccoli imprenditori veneti si sono suicidati, schiacciati tra mancanza di lavoro e taglio del credito bancario, oppressi dalla perdita di un ruolo sociale faticosamente conquistato e dalla necessità di licenziare loro concittadini.

Quasi ogni giorno i giornali locali danno notizia di fabbriche che chiudono o licenziano (li chiamano “esuberi”), o ricorrono alla cassa integrazione. Così 3.000 piccoli e medi industriali trevigiani venerdì scorso hanno marciato, Marcegaglia in testa, contro l’inerzia colpevole del governo e cominciano a non fidarsi del federalismo fiscale, la miracolosa ricetta della Lega che, con la politica finanziaria di Tremonti, promette solo aumenti delle imposte locali. Di più gli industriali non sanno dire, salvo invitare il ministro Sacconi, intervenuto per tentar di difendere il governo, a tornarsene a casa. Purtroppo neanche l’opposizione locale sa avanzare proposte all’altezza della situazione.

1 commento su questo articolo:

  1. ornella papitto scrive:

    E’ terribile sapere che ci sono stati 18 imprenditori che hanno creduto nella politica illusoria sia di Berlusconi che della Lega e della Confindustria e che, nella impossibilità di cambiare la loro situazione economica, abbiano avuto una sola via d’uscita: liberarsi dall’oppressione delle banche e della politica.
    Un imprenditore, qualsiasi persona, non deve suicidarsi. Questa non è libertà. Questa è una forma di “liberazione” dall’oppressione creata ad arte da persone con nome e cognome. Queste persone non meritano il sacrificio di nessuno.
    Che paradosso pensare al “Polo delle Libertà”, al Popolo della “Libertà”, alla “libertà di impresa”, a questa parola così abusata e così lontana dalla vera libertà.
    La libertà è la possibilità di poter fare delle scelte e di poter affermare “SI” lo voglio fare, oppure “NO” non lo voglio fare.
    Gli imprenditori veneti che hanno messo fine alla loro vita non erano nelle condizioni di sentirsi uomini realmente liberi.
    Grazie Tino.

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