le amicizie impossibili nel film di Segre

3 ottobre 2011 di: Rita Annaloro

Ma che carina quella cinese presentata da Andrea Segre nel film “Io sono Li”! la sua aria dolce e sorridente ispira subito simpatia, allo spettatore e ai quattro pescatori chioggiotti che si trovano abitualmente all’Osteria Paradiso, rilevata, nel film come nella realtà di molte città venete e italiane, da un’impresa cinese, che la destina lì. Ma si tratta poi di un’impresa o di un gruppo di imprese che smistano i lavoratori clandestini nelle varie realtà produttive in Italia? Nel film, come nella realtà, non lo si capisce, né lo si indaga. A parte qualche blitz della Guardia di Finanza che sequestra merci prive del contrassegno Ce, i cinesi non interessano a nessuno, sia che compaiano o che spariscano, per ragioni sconosciute.

Neanche i pescatori del film se ne preoccupano, tranne Bepi il poeta, non a caso slavo trapiantato in Italia, che inizia con Shun Li una tenera relazione di amicizia, ostacolata dai capi cinesi dell’organizzazione per ovvii motivi di sicurezza: se gli italiani diventassero amici dei cinesi tutti i traffici sarebbero a rischio perché potrebbero venire scoperti, sembra dire il film. La realtà degli immigrati, cinesi e non, è probabilmente più complessa: alcune ditte a conduzione familiare, anche nel campo della ristorazione, sono da tempo stabili nel territorio italiano e d’altra parte molti lavoratori clandestini vivono in alloggi di gran lunga peggiori della semplice stanzetta che Shun Li divide con una connazionale di cui non sappiamo il mestiere.

Così come di molti altri, biondi, gialli o neri che cercano di captare la nostra attenzione per strada. Molti di noi italiani, però, sono stufi di loro, non vogliono più sentirne parlare, neanche al cinema, e così anche il timido tentativo di Andrea Segre, come quello più coraggioso di Crialese, di aprire una finestra sul nostro e loro mondo, andrà purtroppo sprecato.

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