quelli che … il coraggio di ripartire

6 ottobre 2011 di: Daria D’Angelo

Con i disordini di Lampedusa, abbiamo assistito al più completo fallimento politico di questo governo in materia di immigrazione, e alla manifestazione di uno stato di polizia vicino a una dittatura militare. Il bellissimo film “Terraferma” di Crialese sta raccogliendo grandi consensi dando voce, in maniera toccante, a un’isola che crede ancora nel valore dell’umanità e non cede all’assurda pretesa di un governo che vuole annientarlo solo per paura di compromettere una stagione turistica. “Terraferma” nel film, è l’approdo a cui mira chi viaggia per mare, nella realtà è Lampedusa, un’isola saldamente ancorata a tradizioni ferme nel tempo. Il mare sospinge verso quest’isola tutte queste persone, e i viaggiatori entrano nelle vite degli isolani che li accolgono, come è da sempre per i pescatori dell’isola, secondo la legge antica del mare. Solo che ora la nuova legge dell’uomo non lo permette più, non si possono più soccorrere gli uomini a mare, si devono abbandonare perché sono “clandestini”, anche se contro ogni regola di civiltà, perché non è possibile far morire la gente in mezzo al mare.

Risolvere questo conflitto interiore tra accoglienza e respingimento è un dovere impellente, perché anche quella fra Buon Senso e Giustizia è già una guerra in corso. L’Italia dimostra di essere un paese diffidente, chiuso alla possibilità di creare uno scambio. Il bombardamento mediatico sugli sbarchi a Lampedusa è disorganizzato come gli sbarchi stessi, crea distacco nell’opinione pubblica e disorientamento negli abitanti dell’isola. Non ci accorgiamo della tragedia che esiste e la maggior parte delle persone che hanno perso la rotta sono proprio i lampedusani, abbandonati a se stessi. Attraversato il mare e affrontate le burrasche, questa gente che viene da lontano non trova la tanto agognata “terraferma”, trova emigranti pronti a partire anche loro per una terra ferma chiamata “continente” in cerca di lavoro. Si ritrovano così: immigrati in casa di emigranti che non parlano la lingua italiana ma il loro dialetto, isolani abbandonati da un’Italia che si estranea dal loro problema e ne prende le distanze. Non a caso nel film è messo in risalto l’altro sbarco, inverso, di comitive ludiche di turisti italiani che non devono sapere e non capiscono, agli occhi dei quali viene dipinta un’isola capovolta. Turisti a cui vengono nascosti gli “sbarchi” e dipinta un’isola fasulla, falsamente all’altezza di un turismo “spensierato”, tanto da far stravolgere loro le idee trasformando ai loro occhi in reato le azioni dei personaggi più puri del film, uno dei quali è, nella realtà, un abitante di Lampedusa.

Proprio per il suo tramite arriva dallo schermo un messaggio: per vivere bisogna trovare il coraggio di andare. E andare vuol dire anche procedere, progredire guardando le situazioni nuove e gli avvenimenti che rendono necessario modificare, quando è necessario, la propria rotta per impedire che ognuno, individualmente e con i suoi pregiudizi, decida se far prevalere la propria coscienza o una insensata e anacronistica “Ragion di Stato”.

(installazione di Anne Clémence de Grolée, part.)

3 commenti su questo articolo:

  1. silvana scrive:

    Cara Daria non sono riuscita a valutare come un bel film Terraferma, sono in minoranza perchè è stato candidato all’oscar, ma il tuo articolo mi piace molto.

  2. Antonio scrive:

    Mi piace l’articolo e mi è piaciuto il film di crialese. Complimenti.

  3. Rita Annaloro scrive:

    Che gli aiuti ai lampedusani siano disorganizzati è certo, che gli sbarchi siano disorganizzati è possibile, che il bombardamento mediatico sia disorganizzato è improbabile, proprio perchè possa dilagare meglio la cultura del
    pregiudizio .

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