grande Woody, gioca a scacchi con lo spettatore

17 dicembre 2011 di: Giusi Catalfamo

E’ veramente un dialogo con uno spettatore intelligente e colto e perché no, un po’ nostalgico l’ultimo film di Woody Allen, ed è un invito a condividere il fascino di Parigi, anche se olografica e da cartolina. Ma Midnight in Paris ci fa conoscere anche un’altra Parigi, quella più nascosta, di un’epoca ormai lontana, densa di nostalgia e incomparabilmente bella sotto la pioggia. E così Gil, giovane sceneggiatore in viaggio con la sua compagna e quel che è peggio, con i futuri suoceri, viene rapito dentro una bolla spazio-temporale, che gli consente di evadere per incontrare i suoi miti degli anni ’20. Una fuga per fuggire da realtà indigeribili, come la compagnia di odiosi e saccenti amici della fidanzata, indigesti futuri suoceri da Tea Party repubblicani. E, come Cenerentola, la notte aspetta non la zucca, ma la macchina che lo porterà nelle case dei suoi miti, come quella di Cole Porter, dove potrà ascoltare la musica di un’epoca che continua a immaginare densa di incontri. Hemingway, Francis Scott Fitzgerald con la moglie Zelda e poi Picasso e Adriana, la sua compagna, che a sua volta rimpiange con grande nostalgia la Belle Epoque, e ancora Salvador Dalì, un cameo del premio Oscar Adrien Brody. Gil si innamorerà proprio di Adriana, (una splendida Marion Cotillard), che gli farà capire che ogni epoca ha le sue spine e le sue nostalgie. Non è la prima volta che Woody Allen usa la finzione per rappresentare la realtà come fuga, lo abbiamo visto in Provaci ancora Sam, dove, da protagonista, ascolta i suggerimenti di Humprey Bogart, e ancora in La Rosa purpurea del Cairo, dove Mia Farrow vede l’attore dei suoi sogni scendere dallo schermo e materializzarsi, per vivere una storia d’amore con lei. E così spesso nei suoi film, la fuga fantastica diventa il necessario carburante propulsivo del vivere. Gil non vuole essere solo sceneggiatore di film mediocri, vuole diventare scrittore di buoni romanzi, per questo si affida a Gertrude Stein, che lo incoraggia a continuare; a uno stupito Louis Buñuel suggerisce la trama de L’Angelo Sterminatore, ma il regista non può capirlo perché il suo film sarà realizzato 40 anni dopo, nel 1962; vuole vivere a Parigi, non a Malibù, come vuole la sua fidanzata. Se non altro capirà che non hanno molto in comune. Ironia, bellissima fotografia, splendida colonna sonora, come sempre, grande intelligenza e buon gusto sono gli ingredienti di questo film assai godibile, che, ancora una volta, torna a ragionare con grande lucidità e intelligenza sul senso della nostalgia e dell’illusione. Ma è soprattutto un film che ti fa venir voglia di prenotare il primo volo per Parigi.

Commenta questo articolo:







*
AdvertisementAdvertisementAdvertisementAdvertisement