un accento che vale, càritas non carità

29 dicembre 2011 di: Clara Margani

La parola «càritas» fu introdotta nel latino cristiano per tradurre la voce greca «agape», che significava «accolgo con cordialità, tratto con affetto» e bisogna dire che migliore attribuzione di significato di questa non si poteva fare. Al corso per i volontari Caritas viene chiarito subito che non si è missionari, ma persone al servizio di altre. Il “diverso” è un “simile” in difficoltà di cui bisogna rispettare l’alterità e che bisogna accompagnare nell’usufrire delle risorse, messe a disposizione dalla Caritas stessa o dalle istituzioni locali o nazionali. In questa istituzione della Diocesi di Roma c’è una carica di laicità insospettabile voluta dal suo fondatore don Luigi Di Liegro, uomo aperto e scomodo che andava a cercarsi in tutti gli ambienti le persone da aiutare rispettando la loro diversitrà. Chi sia rivolge alla Caritas, in particolare gli stranieri, ma anche moltissimi nuovi poveri italiani, scopre che non riceverà indottrinamenti religiosi, che sarà accolto, ascoltato, informato, indirizzato verso quei servizi gratuiti di cui ha bisogno.

Troverà dall’altra parte donne e uomini, molte più donne che uomini, che svolgono questa attività gratuitamente, che sono stati addestrati a non imporre ma a proporre, a dare senza chiedere niente in cambio se non due fotografie per il rilascio della tessera. Ma talvolta non ci sono i soldi per la macchinetta delle foto e allora il volontario deve riuscire sempre a trovare una soluzione alternativa. Con la tessera Caritas si può usufruire gratuitamente dell’ostello, della mensa, dell’ambulatorio e per gli stranieri anche della scuola d’italiano. La scuola in particolare è un ambiente in cui persone provenienti dalle culture più diverse entrano in contatto tra loro e s’impadroniscono di uno strumento fondamentale per la loro sopravvivenza: la lingua italiana. I livelli sono quattro: prealfabetizzazione, alfabetizzazione, base, intermedio. I docenti, anche qui per la maggior parte donne, sono ex insegnanti in pensione, ma anche lavoratori e studenti universitari che dedicano al volontariato parte del loro tempo. La lingua italiana anche ai livelli iniziali diventa un potente strumento di integrazione e di promozione umana, sociale, culturale che permette agli studenti, purtroppo ancora più uomini che donne, di sentirsi accolti in un ambiente protetto senza rinunciare alla propria diversità. E dall’altra parte i volontari scoprono mondi di dignitosa sofferenza e di orgogliosa disponibilità ad un incontro, in cui tutti alla pari danno e ricevono.

7 commenti su questo articolo:

  1. Antonio scrive:

    Un quadro da “mulino bianco”. La caritas di Roma non è la Caritas di tutto il mondo. La laicità è un valore che va salvaguardato e non credo che l’indottrinamento che a Roma non avviene, come scrive la signora, non avvenga in altre città. Non lo sappiamo. Diffido comunque che tutto sia rose e fiori come la signora descrive. Questo articolo riguarda una città e non generalizzerei. I volontari sono una forza sociale in assenza dello Stato e meritano il grazie di tutti, ma le Diocesi non sono tutte così “disinteressate” gentile signora. Non fuorviamo la gente sopèrattutto in questo momento in cui la chiesa la fa da padrona!!!

    • Clara Margani scrive:

      Gentile Signor Antonio, mi dispiace che Lei pensi che con il mio articolo da “mulino bianco” io volessi fuorviare la gente che si connette a Mezzocielo generalizzando sulla presunta “laicità” della Caritas. Volevo solo presentare una situazione “esemplare” di cui posso dare testimonianza e sollecitare un dibattito tra laici interessati al volontariato che si esprime dentro e fuori della Chiesa, come è avvenuto felicemente tra noi due.

  2. ornella papitto scrive:

    L’aspetto generoso di Mezzocielo ci consente il confronto, partendo da posizioni lontane, a volte opposte.
    La carità, secondo me, è mossa dal desiderio di sentirsi buoni, compassionevoli e non c’è senso del dovere in questa direzione. E’ la sindrome del “buon samaritano”. La laicità di Don Di Liegro è sacrosanta, quindi non discutibile. Ed invece c’è molto da discutere: l’altro, per me, non è un “diverso” da me. No. E’ una persona che ha i miei stessi diritti, perché semplicemente persona, e non perché povero, straniero, analfabeta, ed altro.
    Fino a quando lo stato laico non comprenderà che tutti i cittadini, inclusi quelli in transito, sono portatori di diritti e di doveri, allora lo spazio della carità sarà sempre occupato dai buoni cittadini e non dai servizi sociali pubblici gestiti da bravi cittadini.

    • Clara Margani scrive:

      Sono d’accordo che il volontariato è un surrogato all’efficienza di uno Stato laico nella cui Costituzione viene dichiarato che ” è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” . Per quanto riguarda il concetto di “diverso” io invece penso che ognuno ha diritto alla propria diversità e che l’uguaglianza passa proprio attraverso il rispetto della diversità delle singole persone, nel caso in oggetto gli utenti e i volontari Caritas.

  3. ornella papitto scrive:

    Cara Clara, sicuramente ognuno di noi ha il diritto a difendere la propria unicità e le proprie tradizioni. Il contrario è la massificazione. Però, per me, la parola “diverso” purtroppo contiene in sé un giudizio di valore e spesso viene inteso in senso negativo.
    E’ un termine che allontana e non avvicina gli umani. Il “diverso” è vissuto spesso con diffidenza, con preoccupazione, come soggetto pericoloso. Per questo non mi piace la parola “diverso”. Occorrerebbe trovarne un’altra che affermi e rispetti le unicità.

  4. ornella papitto scrive:

    … di difendere… E’ mezzanotte….

  5. simona mafai scrive:

    E’ veramente straordinario (per i tempi che corrono!) che si possa discutere di argomenti tanto difficili, e così civilmente, tra persone di diverse convinzioni politiche ed ideologiche. Che ciò avvenga nel sito di “Mezzocielo” riempie le sue fondatrici di soddisfazione intellettuale ed orgoglio. E di speranza. Considero questo dibattito il miglior augurio per l’anno nuovo.

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