e venne l’anno della ricostruzione

15 gennaio 2012 di: Daria D’Angelo

È stato un anno difficile, forse il più amaro per chi ha perso l’azienda o il lavoro, per chi deve rinunciare a legittime aspettative. Vicissitudini politiche, a cui avremmo preferito non dover assistere, stanno portando l’Italia verso un nuovo assetto, si sta cercando di uscire dall’emergenza. La parola sacrificio è diventata un tormentone, l’equità una speranza, la crescita un’ambizione, a momenti un’utopia. L’ansia inizia a non darci tregua, ma mentre tutto cambia, dobbiamo cercare di affrontare, adeguarci, perdere qualche abitudine “insana”, guardare di più dentro di noi per ritrovare la serenità e la fiducia sufficienti ad affrontare questo imminente futuro. L’Italia si è data delle arie, ha creduto di essere più di ciò che era, è stata tranquillizzata e, come una bambina capricciosa ha chiuso gli occhi, ha voluto non vedere. La crisi riguarda soprattutto il denaro, quel fingere con noi stessi di essere tutti ricchi. Non è così. A questo punto, credo che serva a poco sfogare la rabbia contro la Casta in sostituzione di quella passata contro Berlusconi.

Serve a poco continuare un moto di collera compiacendoci delle parole che sono state la sola sostanza di questi ultimi anni, invece quello che ci serve è accettare e credere. Certo, senza smettere di monitorare le magagne costitutive, gli eccessi, i privilegi, i tornaconti…. ma la sola rabbia antipolitica in questo momento è sterile e pericolosa, mette in crisi la democrazia, e potrebbe costituire un boomerang. Credo che dovremmo tutti ripescare, dal fondo di questa crisi, un briciolo di fiducia in noi stessi, nelle potenzialità di questo paese, nei suoi pregi come l’arte, la cultura, l’estetica; dovremmo sostituire la rabbia con la voglia di farcela, provare a pensare che esiste la possibilità di crescere. Dovremmo puntare all’interiorità, a tanti valori e idealismi che sono andati perduti nel tempo. Abbiamo sentito la parola “sacrifici“ per tanto tempo, dai nostri nonni, dai genitori, sembrava essersi cristallizzata nei loro racconti, a quegli anni del dopoguerra in cui tutto era davvero perso e distrutto, eppure la gente pullulava di energia, la gente si impegnava a ricostruire. L’Italia ha vissuto momenti molto più difficili, ora gli Italiani che devono farcela siamo noi, i figli, i nipoti. Tutti quanti dovremmo impegnarci in questa ricostruzione perché si arrivi quanto più vicino possibile a un mondo migliore per i nostri figli, fatto di crescita, libertà e democrazia.

Cerchiamo di vedere il nuovo anno come l’avvio di una ricostruzione, cerchiamo di non fossilizzarci sulla rabbia, pensiamo che questo mondo globale che tanto ci impaurisce potrebbe essere un’opportunità per l’Italia se riesce a difendere quei capisaldi di creatività, arte, fantasia, cultura ed estro che l’ha resa oggetto di ammirazione. E’ solo un augurio, è il mio augurio per brindare all’anno nuovo, e…come diciamo noi: «Calati juncu ca passa la china».

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