Gioie e dolori dell’era del 3D

1 febbraio 2012 di: Veronica Schillaci

Per sua natura, il nostro occhio percepisce la realtà che ci circonda in tre dimensioni spaziali ed è in grado di farlo grazie alla visione binoculare.
Entrambi i nostri occhi infatti, pur trovandosi in una diversa posizione, cooperano al fine di leggere insieme un’unica immagine.
E’ un fenomeno invidiato, lo è sempre stato.
Nell’arte visiva, dalla pittura alla fotografia, uno dei maggiori obiettivi consisteva nel dare l’idea di un’apparente profondità, ricorrendo all’utilizzo di tecniche di colore, sfruttando luci ed ombre, sovrapponendo piani.
L’artista desiderava che la sua opera non fosse soltanto una rappresentazione la realtà, magari personale, ma una vera e propria riproduzione.
Si dice che il primo ad esserci riuscito sia stato Giotto, aveva creato ambientazioni più realistiche affinché fossero coerenti con i personaggi umani che le abitavano. E’ incredibile come, dopo centinaia di anni, siamo ancora alla ricerca della medesima cosa. Qualcosa che, come il 3D cinematografico, ha esattamente lo scopo di accostarsi il più vicino possibile al mondo che vediamo e a come lo vediamo.
Ma quando si parla di “3D” purtroppo, si fa sempre una certa confusione, probabilmente dettata dal fatto che l’espressione viene comunemente usata per riferirsi alla visione stereoscopica, quella, per intenderci, del cinema e degli occhialini. Ma la computer grafica 3D è tutt’altro.
Si basa sulla produzione multimediale di modelli tridimensionali, statici o in movimento per mezzo di software adatti alla “replicazione” o “esaltazione” della realtà. Spesso bisogna creare oggetti e scene per poi essere sviluppate in video. Questo richiede altissime conoscenze del settore e di aspetti puramente tecnici (fotografia, audio/video, tempistica, proporzioni, prospettiva, modellazione, disegno).
Si basa principalmente su un lavoro di team.
Il cinema tridimensionale da dieci euro a spettacolo è invece semplicemente un tipo di proiezione cinematografica che, grazie a specifiche tecniche di ripresa e proiezione, fornisce una visione stereoscopica delle immagini.
Le immagini prodotte dagli obiettivi sono due, una per occhio e vengono sovrapposte e leggermente sfalsate. Indossando gli occhiali appositi, le cui lenti hanno la stessa polarizzazione delle immagini proiettate sullo schermo, il nostro cervello ricostruisce infine un’unica immagine tridimensionale. Ed ecco qua che i film, prevalentemente d’azione o d’animazione, diventano un continuo ed emozionante effetto speciale: ci rapiscono, ci suggestionano, ci permettono di entrare dentro la pellicola stessa, di essere noi protagonisti. Più percepiamo una cosa come reale, più quella cosa stimolerà in noi reali emozioni. Un film horror ci farà realmente paura, un film romantico, realmente sognare.
Ma abbiamo davvero bisogno di credere in quello che vediamo, sebbene si tratti di finzione?
Il cinema, nella sua travagliata storia, sembra seguire ed assecondare i bisogni delle persone: in Italia i film propagandistici avevano il fine di promuovere il regime fascista, quelli neorealisti di raccontare cosa il paese stava vivendo, il cinema d’autore spingeva per uscire dal clima di guerra e dopoguerra, raccontando storie da un punto di vista introspettivo. La commedia all’italiana celebrava il boom economico ed un periodo più florido dove la gente aveva davvero voglia di ridere.
E così in Italia, come nel resto del mondo, il cinema è gioia e sofferenza del nostro tempo. Il cinema siamo noi con il carico dei nostri bisogni sulle spalle.
Devo quindi dedurre che, in un epoca in cui la ricerca delle perfezione è parola d’ordine nel mondo della comunicazione visiva, è un nostro primario bisogno quello di simulare la realtà delle cose, di perderci in una dimensione alternativa, forse anche migliore di quella che siamo costretti a vivere.
O forse è solo un altro frutto marcio del progresso.
Sta di fatto che il mondo digitale ci offre un’alternativa, possiamo avere libri, videogiochi, cellulari tridimensionali.
Sta a noi decidere fino a che punto perdere il contatto con ciò che di tangibile c’è nella nostra vita. Di immortale, come la carta o le vecchie fotografie.
A me il 3D piace, quello che non mi piacerebbe è se tutto quanto fosse in 3D.
Le cose in 3D sono perfette, ma non hanno nessun odore.

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