lo stomaco d’acciaio di Palermo

13 febbraio 2012 di: Marina Turco

A Palermo mancava un ulteriore pregio, quello di avere un metabolismo accelerato. E’ sempre bella anche se decadente, seduttiva anche se per nulla ringiovanita, facile da vivere perché immobile. Ma è anche capace di smaltire tutto rapidamente senza risentirne, darne segni fisici o morali. Metti la scorpacciata della sindacatura Cammarata: dieci anni di bocconi amari, acido bolo, succhi gastrici corrosivi concentrati in una irrimediabile stagione di incapacità. Lo stomaco della città è d’acciaio. Il sistema digestivo è a prova di fiele. E l’intossicazione non lascia alcuna traccia che sia nel corpo o nella memoria. Il sindaco si è dimesso il 16 gennaio scorso, neppure un mese fa. Verrebbe voglia di chiedere in giro se quella data se la ricorda qualcuno. Il ventre di Palermo si è liberato di quella abbuffata senza reazione alcuna. Nessun sollievo o minimo giubilo, nessun sentimento, neppure un evviva o uno slancio di rabbia. Tanto meno un addio. Pura e semplice indifferenza. La stessa sulla quale Cammarata ha potuto contare per due lustri di emergenze continue senza mai un cenno di indignazione della città. Unica, timida, eccezione i falò dell’immondizia nella periferia abbandonata e istintuale. Cammarata Palermo la conosce davvero bene. Le sue dimissioni sono l’atto amministrativo più efficace della sua evanescente carriera di politico. Ha potuto abbandonare il campo senza conseguenze, ha dato un calcio al passato senza rimpianti, è uscito di scena senza avere mai recitato la parte e senza beccarsi un fischio o il lancio di un pomodoro. La sua migliore performance. Sarà stato lui per primo a dimenticare Palermo in tutta fretta. L’ultimo taglio di nastro (la sua passione, inaugurare, anche poco, ma inaugurare) ha avuto il provinciale sigillo del “lascio un segno almeno in famiglia e nessuno potrà lamentarsene”. Ha aperto il parco d’Orléans intitolandolo a Ninni Cassarà, indiscusso eroe antimafia, il papà della sua compagna.

Poi il frettoloso commiato. Ti lascio perché t’amo troppo, dice il furbo e stanco fidanzato. Così ha fatto Cammarata con Palermo il 16 gennaio. E Palermo non se l’è neppure presa. Né la città, né altri. Il fallimento di Cammarata era la ricetta elementare per una campagna elettorale di centrosinistra (anche da primarie) facile, veloce, liberatoria, persino divertente; tali e tante sciocchezze si sono viste fare e dire in questi anni. E invece no. La stupefacente sindacatura di centrodestra inventata da Gianfranco Micciché non è un tema, non è spettro da scacciare, non è slogan, non è memoria. E soprattutto non unisce. E’ così poca roba che nelle cronache di questo mese non è citata neanche mezza volta nei comunicati dei maggiorenti del centrosinistra, lo schieramento che aspirerebbe a governare Palermo dalla prossima primavera. Le liti interne, primarie sì primarie no, duelli, machiavellismi quelli sì sono nell’agenda politica. Il Pd si divarica. Antonello Cracolici e Beppe Lumia versus Giuseppe Lupo. Fuori dal partito l’avversario è Leoluca Orlando dell’Idv, l’ex sindaco (tanti ne sono nostalgici e lui se ne approfitta). L’Orlando che nel frattempo ha disconosciuto il giovane e ambizioso Fabrizio Ferrandelli il quale ha lasciato l’Idv ed è stato reclutato per le primarie dalla coppia Cracolici-Lumia. Rita Borsellino che lavora bene nel Parlamento Europeo, viene tirata per la giacca verso le primarie da Lupo e Orlando che dunque non gareggia. Ma si sa già che se l’urna dovesse premiare Ferrandelli, Orlando sarà in campo di nuovo. Davide Faraone e Antonella Monastra restano in corsa con poco entusiasmo per le primarie più litigiose, confuse e rischiose che si potessero immaginare. Peccato! E attenzione, perché la città ormai ha il metabolismo accelerato, digerisce e smaltisce a velocità supersonica. Non gradisce la ressa e magari si accontenterà di un comodo, salottiero, piacente e giovane simil-Cammarata.

(proteste di rottamatori e sfrattati a Palazzo delle Aquile, ph. Scarafia)

12 commenti su questo articolo:

  1. Luisanna scrive:

    Ciao Marina qualunque argomento tocchi è approfondito e raccontato con un certo umorismo e leggerezza, sono fattori che rendono la tua prosa accattivante,La fuga di Cammarata è l’esempio del nostro riuscire a tritare tutto non per riciclarlo ma per accantonarlo. Spesso infatti alcuni ritornano

    • Marina Turco scrive:

      E infatti, cara Luisanna, non ci resta che l’umorismo. Grazie del bel commento! Marina

  2. Giusy scrive:

    …..la mia prima volta…..
    e’ la prima volta che ti leggo cugina,
    tutt’un fiato senza interruzzione ho divorato il tuo articolo
    schietto,ironico, umoristico, condito da un sottile e piacevole sarcasmo.
    non voglio fare una vera e propria recensione perche’ mi mancano elementi conoscitivi della tua professione giornalistica….desidero solo complimentarmi per la tua prosa scorrevole e piacevole che incanta e disincanta il lettore in pochi secondi portando alla riflessione anche il peggior dei disinformati.
    COMPLIMENTI.
    con affetto Giusy Failla.

  3. Rossella scrive:

    Palermo ha tante teste e tanti stomaci. Quello che vomita una, ingurgita l’altra. E se tagli una delle teste ne ricrescono due. Con due stomaci in più. Scorie.

  4. [...] Marina Turco su Mezzocielo. [...]

  5. linda pantano scrive:

    eccellente Marina Turco, non è la prima volta che la leggo con ammirazione

  6. Marina Turco scrive:

    Grazie Linda, sei gentile.

  7. alberto bonanno scrive:

    cara marina, vorrei tanto essere d’accordo con te sulla capacità di smaltire le indigestioni della nostra città, sul suo metabolismo accelerato, sul suo stomaco d’acciaio. se così fosse, palermo avrebbe tratto energia anche dai suoi bocconi più indigesti, come i dieci anni di sindacatura cammarata che per incanto l’hanno riportata indietro di tre decenni. sono convinto invece che il metabolismo di questa città sia infinitamente lento, al punto di non digerire nulla di ciò che ingurgita. i suoi succhi gastrici sono acqua, e pure distillata. una sacher torte, un’aragosta o una pietra a palermo forniscono lo stesso nutrimento: zero.

    la storia è piena di esempi che dimostrano quanto e come si possano creare capolavori dalle macerie. tempo fa ce lo dicevamo in tutt’altro contesto, ti ricorderai. ora penso alle piccole città dell’austria e della germania risorte dopo la seconda guerra mondiale, ai paesi baltici sconvolti dopo la guerra del kosovo, persino a bucarest, che ha trovato una sua povera quanto dignitosa riorganizzazione dopo ceausescu. e non mi riferisco ai miracoli economici, agli investimenti che hanno trasformato le città e che alcuni sono stati capaci di usare così come andrebbero usati (vedi valencia e barcelona), ma al “sentimento” di città, a quello che gli abitanti provano nei confronti del loro territorio.

    e il territorio dei palermitani, o almeno quello per il quale i palermitani sono capaci di provare qualche sentimento, è da sempre il giardinetto di casa. quel backyard diventato famoso grazie ai “nimby” statunitensi, della quale in realtà palermo è da sempre la capitale mondiale. pensare che l’ultimo (l’unico?) scatto d’orgoglio che una parte – e sottolineo una parte, per giunta piccola – di palermo ha avuto nei confronti della sua inestirpabile tradizione di omertà, disinteresse e opportunismo è stato solo il dopo-stragi mette i brividi. nel frattempo è accaduto di tutto, e chi fa il nostro mestiere ogni giorno ha visto accadere qualcosa per cui si è detto tra sé e sé “ma non è possibile”. e invece sì, perché questa città muore ogni giorno di più, e ormai è ridotta peggio di los angeles, dove vige una specie di federalismo dei quartieri, che tra loro non dialogano e non dialogheranno mai. la prossima tappa lì sarà il federalismo individuale, qui ci siamo già da secoli.

    l’indifferenza è la “dote” dei palermitani che gli interpreti politici partoriti dalla città hanno sempre incarnato, assecondando e cavalcando questo sentimento, facendone un’arma di straordinaria potenza per le loro quinquennali campagne elettorali. cammarata ne è stato un esempio, e forse neanche il più brillante, perché i suoi sponsor non sono stati da meno, da micciché fino a berlusconi. ognuno di loro, se ci pensi, ha solo guardato al suo backyard. non ci sono soldi per le case famiglia? intanto mi pago il piano di comunicazione istituzionale per gli amici e gli amici delgi amici. le scuole sono al gelo? intanto compriamo i panettoni da far distribuire a natale ai consiglieri comunali. arrivano i soldi per restaurare il politeama? mi ci pago per un mese gli stipendi della gesip. tutta una grande presa per il culo che non lascia scampo a chi scampo già non ha, perché la logica del favoritismo e della “cavigghia” è quella più facile da tenere sotto controllo e la più difficile da troncare. per avere un contraltare banale: quando veltroni, che certo non è un esempio mirabolante di sindaco, a roma non aveva più soldi e ha dovuto scegliere tra far costruire degli asili o far rifare il manto stradale di cui si lamentavano i romani, ha scelto la prima cosa. è questa la differenza.

    palermo non ha “digerito” cammarata, non si è neanche accorta di averlo ingoiato. e lo ha deposto così come se lo era tracannato. per questo il suo bassissimo profilo lo rendeva prima un candidato e poi un sindaco ideale. dei suoi dieci anni, se guardi bene, già non c’è più traccia. e che il parco “familiare” lo abbia aperto lui forse ce lo ricorderemo solo noi: il 99 per cento dei palermitani il giorno dopo lo aveva già dimenticato. come qualunque altra cosa.

  8. ornella papitto scrive:

    Alberto, vivo fuori Palermo, ma non lontanissimo. Ho avuto la sensazione che Cammarata sia stato un sindaco “fantasma”, evanescente, quindi inconsistente. Qualche volta mi sono chiesta se esisteva veramente e se non fosse invece una contro-figura di un sindaco qualunque Però, a guardare bene, la maggioranza di sindaci palermitani non ha mai brillato per consistenza politica, quella doveva esserci ma non doveva apparire. Doveva servire per altri interessi, meno espliciti e spesso meno leciti. Eccezione c’è stata. Ed è stata primavera.
    Ti chiedo cosa significa “cavigghia”? Scusa l’ignoranza, ma la curiosità di capire è più forte della negazione della mia ignoranza. Grazie

    • alberto bonanno scrive:

      cara ornella, la “cavigghia” è il termine con cui in dialetto palermitano si indica la cosuccia da sbrigare, la piccola commissione, il lavoretto di entità irrilevante. il termini di basso politichese è quello scambio tra amministratori e questuanti che in genere si sostanzia nel sempiterno “se tu dai una cosa a me, io poi do una cosa a te”. voglio dire, se un consigliere comunale si prodiga per un contributo, per una concessione, per un incarico, prima o poi il debitore troverà il modo di ricambiare. alle urne, per esempio.

  9. Giuseppe Scuderi scrive:

    Quando finisce un amore ci si restituiscono i regali, spesso. Con Cammarata (che fosse innamorato di Palermo lo sostiene lui, gli astanti non ne hanno avuto prova) non è possibile: anzi, e questo è quel che mi preoccupa, condividendo quel che ha scritto Alberto Bonanno, dei suoi regali non graditi patiremo le conseguenze per decenni

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