Vabbuò, ja …

12 febbraio 2012 di: Daria D’Angelo

Non c’è stata nessuna attenuante per la tragedia dell’isola del Giglio, nessuna calamità naturale o fatalità, solo superficialità e incompetenza. Dietro la facciata rassicurante di esibizioni, spettacoli, foto con il comandante e prove di evacuazione, si celava una realtà fatta di inammissibili latitanze e inadeguatezza che hanno gettato nel panico più di 4000 persone. Istinti di sopravvivenza e gesti di eroismo si sono mischiati, hanno capovolto codici d’onore e leggi della Marina Militare. Risalgono in superficie le verità e, come dentro un’immensa bolla d’aria, si cerca di ricomporre quel tessuto di relazioni che andava oltre la teatralità e il protagonismo. La vita non è film, il Comandante non affonda insieme alla sua nave, anzi, scappa, per lui è stata chiesta una pena di 2697 anni di reclusione dalla procura di Grosseto. Nonostante i morti, i dispersi e il pericolo di un enorme danno ambientale, oltre l’audacia e la superficialità, la condanna assurge a simbolo di un altro importante affondamento mediatico, quello di un paese che infligge al responsabile di una tragedia non premeditata una pena maggiore di quella data ai responsabili di stragi di mafia premeditate, di una giustizia che non va troppo per il sottile in altri casi, nel considerare il danno mediatico della liberazione degli stupratori. La compagnia di crociera dovrebbe spiegare come sia possibile affidare navi così grandi a equipaggi capaci di tali imprudenze, ma deve ammettere anche che fare l’«inchino» è una pratica avallata per il grande ritorno ai fini di pubblicità.

Andare rischiosamente fuori rotta, significa sfiorare illecitamente fondali bassi, scogli, secche, ostacoli segnalati sulle carte nautiche, ed è grave mettere a repentaglio la sicurezza dei turisti che hanno deciso di imbarcarsi per una crociera, dell’ambiente, dei nostri mari, delle nostre coste, delle nostre isole per ragioni di questo tipo. Le indagini devono essere scrupolose, senza indulgenza nel giudicare le capacità professionali di chi era alla guida, ma anche le responsabilità dei colossi come Costa Crociere, che certo ci sono. La giustizia italiana dovrebbe essere più equa nel giudicare ogni tipo di strage, e le pene dovrebbero essere più dure. Numeri di effetto, come “2697 anni” di carcere servono poco in un paese in cui tutto può accadere, senza escludere la possibilità di vedere, fra qualche anno, il comandante Schettino scrivere un libro, essere invitato a “Quarto Grado” o, magari, candidarsi in politica. Ricordiamo che i risvolti di tanti avvenimenti drammatici, in questo paese, hanno fatto solo audience. Se e quando, la verità verrà fuori superando le convenienze sociali, molti passeggeri non ci saranno più, gli altri continueranno ad essere sballottati dalle onde di un malessere che non si accontenterà certo di parole e ipotesi, anche perché, nel frattempo, il mondo intero continuerà ad osservare, come ha fatto durante questo assurdo incidente, il profilo umano e morale di questo nostro paese dalle gigantesche contraddizioni.

2 commenti su questo articolo:

  1. silvana scrive:

    Mi sei piaciuta tanto anche in questo articolo una carrellata su un’Italia pronta al naufragio senza mai naufragare, tutti i disaggi senza mai una riva sicura!

  2. Maria Stella scrive:

    Si è letto tanto sul naufragio e su Schettino ma questo articolo mi pare uno dei pochi che riesce ad individuare cause ed effetti alla perfezione, 1000 anni di carcere sono assurdi e non risolvono il problema della competenza che ognuno deve avere, non eroismi o grandi gesti, sarebbe bastato essere competenti! La sua incompetenza Schettino l’ha dimostrato non solo scappando ma levandosi la divisa, era lui per primo a non sentirsi più capitano.

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