c’è sentenza e sentenza, nei tribunali italiani
«Una sentenza che senza enfasi si può definire davvero storica, sia per gli aspetti sociali che per gli aspetti strettamente tecnico-giuridici». Non sono state usate mezze misure per il verdetto del Tribunale di Torino che ha condannato a 16 anni di carcere per disastro doloso e omissione dolosa di misure infortunistiche i due manager della Eternit, Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier De Marchienne. “Chi avvelena paga – Una speranza per il futuro – Un punto fermo per tutti – Processo storico – Sentenza esemplare …” Una sentenza dovrebbe qualificarsi solo dell’aggettivo “giusta”, ma il processo di Torino è stato davvero storico perché ha affermato la responsabilità degli imprenditori, e la sentenza potrà diventare apripista di vicende giudiziarie analoghe in Europa e nel mondo. Sono stati migliaia i morti e i malati di tumore fra gli operai e fra le persone, ed è la prima volta che tra gli imputati non sono finiti solo i capi delle singole filiali, ma i vertici. Non si è trattato di un processo per le cosiddette morti bianche, cioè per i morti sul lavoro e di lavoro, episodi tragici di cui purtroppo la cronaca è costretta a occuparsi con allarmante frequenza, ma del giudizio a un sistema imprenditoriale di caratura multinazionale, cinicamente basato sulla ottimizzazione produttiva conseguita a tutti i costi, anche a scapito della sicurezza dell’uomo e dell’ambiente.
Le misure di protezione e la tutela dei lavoratori hanno un costo, adeguare gli impianti comporta un onere, ed è chiaro che sono proprio questi gli elementi fondamentali sui quali si vuole risparmiare. Ovunque una multinazionale non dovesse garantire la sicurezza degli operatori, dopo questa sentenza, sono da mettere in conto chiamate in giudizio e pesanti richieste di risarcimento, a carico di chi non ha provveduto come sarebbe stato suo dovere. L’esito di questo caso giudiziario dovrebbe quanto meno suggerire l’adozione di comportamenti e misure indispensabili, dalle quali non è possibile prescindere: dovrebbe essere chiaro che, nel nome delle liberalizzazioni da più parti invocate, non è assolutamente lecito liberalizzare il capitolo sicurezza del lavoro e dell’ambiente, tagliando per ridurre i costi e alimentare l’economia. Abbiamo bisogno di una legislazione comune molto più rigorosa in materia di tutela del lavoro e non, come adesso, di un sistema di direttive lasciate all’interpretazione degli Stati. Occorrono norme univoche, vincolanti per la protezione di tutti, per scongiurare nuovi “casi amianto” e non solo, per prevenire e mirare alla salute. Non si tratta certo di un argomento meno importante dello spread e della finanza. Oltre al capitolo “lacrime e sangue” che richiama ai soli doveri dei cittadini, sarebbe giusto, storico, esemplare, e una vera speranza per il futuro, sapere che si pensa alla loro tutela, alle loro libertà, o anche semplicemente che si parla concretamente del diritto di tutti a una vita sana. I diritti umani sono fondamentali per ogni paese civile, ed è onesto mettere in atto quanto rappresenti oggi, per l’avvenire di tutti, «una sentenza che senza enfasi si può definire davvero storica».
La parola mancante, nel nostro sistema occidentale, è la responsabilità. Accadono tragedie ed è difficile trovare i responsabili. Come se i fatti che accadono fossero inevitabili e ineluttabili. Come se dipendesse dal caso, dalla natura. Questa volta è differente. Finalmente. Le azioni sono state punite. Finalmente. Sono state individuate due persone che avrebbero potuto fare scelte per difendere la salute degli operai e dei loro familiari. Quante donne hanno perso la vita, anch’esse, lavorando per i loro mariti, padri, fratelli? L’eternit si posa ovunque, anche sugli indumenti da lavoro. Che parola assurda e contraddittoria: eternit, fa pensare all’eternità. Ma un’eternità stroncata. Quante morti premature e dolorose! Corretti e onesti i giudici. Finalmente. Hanno restituito ai due manager la responsabilità delle loro azioni criminali.
Grazie Daria.