la lenta agonia del commercio cittadino

15 marzo 2012 di: Clara Margani

Un cartello “Chiuso per inventario” sulla vetrina di una libreria storica, un solo stivale sul deschetto del calzolaio nel vuoto del negozio, due o tre scatole di giocattoli nel deserto del “Paradiso dei bambini”, “Si regalano espositori” sulla porta del negozio di merceria, un “Torno subito” ingiallito che testimonia dell’impossibilità di tornare di chi l’ha scritto e tanti cartelli “Affittasi” e “Vendesi” di locali commerciali che non troveranno mai qualcuno interessato. E’ questa una delle spie rosse della crisi in cui versa il nostro paese, che si percepisce quotidianamente nelle città italiane. Non è più il vecchio ‘Alimentari’ sostituito dalla sofisticata banca o il cinema dal supermercato. Non ci sono più sostituzioni. Se l’attività commerciale chiude, il locale rimane inutilizzato e, visto che è dotato di vetrine, il vuoto interno è ancora più tragico perché innegabile. Gli affitti raddoppiati se non triplicati, la merce in giacenza che sempre meno persone possono acquistare, i commessi gradualmente licenziati, una minore luminosità delle vetrine, lo scarso assortimento e soprattutto la polvere che si insinua tra gli scaffali, dentro i contenitori, tra le buste di plastica; alla fine dichiarazioni di resa con svendite totali e poi la chiusura.

Quegli esercizi che resistono vengono sempre più circondati da quelli che si sono arresi: un negozio aperto, uno chiuso, uno aperto, due chiusi e così via. I consumatori consumano sempre meno e scelgono merci essenziali pur avendo nostalgia delle superflue. Dove sono andati e andranno a finire quei capaci commercianti, privati della loro funzione di trait d’union tra produttori e consumatori, tacciati popolarmente di essere “tutti ladri” ma, come ci insegnavano a scuola, necessari a muovere gli ingranaggi del nostro sistema produttivo?

5 commenti su questo articolo:

  1. Rosanna Pirajno scrive:

    hai fatto bene a trattare questo argomento, ne avevo parlato in un articolo per un altro sito, a proposito dell’apertura del quarto mega centro commerciale allo zen e della chiusura di molti esercizi commerciali nel centro storico di Palermo. Oggi ho fatto un giro a piedi nella mia zona e di negozi chiusi ne ho visti troppi, per non essere allarmata delle dimensioni della crisi.
    E forse non abbiamo ancora visto tutto.

  2. micol scrive:

    Chi scrive ,almeno così credo di aver capito, è di Roma che commenta è di Palermo io sono romana ma il senso di angoscia è uguale, più che altro un senso di perdita.

  3. Silvia scrive:

    Porto la mia esperienza: vivo a Roma in un quartiere che è cresciuto negli anni ‘50 con moti esercizi commerciali, dei più svariati. Ricordo che da bambina si trovava di tutto, dal ferramenta alla merceria, dalla cartoleria al casalinghi, dal “forno”che vendeva pane caldo alla “latteria” ricoperta di maioliche…linda e pinta. Allora si vendevano ancora sfusi, in grandi sacchi, sia riso che fagioli secchi ecc…la spesa alimentare si faceva ancora quasi giornalmente, scambiando 2 parole con il commesso, chiamandolo per nome. Realtà quotidiane e semplici che ora sopravvivono solo in qualche pubblicità televisiva… Sono i miei ricordi di una città che, prima lentamente, e sempre più velocemente poi si è andata trasformando. I “vecchi” hanno raggiunto l’età della pensione e si sono ritirati…sopravvive l’abbigliamento, soprattutto se agganciato alle grandi catene. Vedo di tanto in tanto un cartello di “nuova gestione”, l’inaugurazione e l’avvio della nuova attività con qualche speranza…passando e ripassando vedo poi gli esercenti sempre più spesso affacciati sulla porta del negozio, vuoto. E’ il mio quartiere, ci sono cresciuta, sento un forte senso di appartenenza e l’idea del iper-mercato e del mega-centro commerciale mi è tuttora estranea. In quei posti mi sembra di perdere persino parte della mia identità, confusa tra una moltitudine anonima in cui mi sento disorientata. Logiche di mercato e strategie commerciali……

  4. gemma scrive:

    I piccoli negozi del quartiere in cui vivo si sono trasformati in botteghe “prendi e fuggi” gestite da stranieri gentili e sorridenti ma che spesso non parlano la nostra lingua. Qualche tempo fa riuscivo a scambiare quattro chiacchiere con gli altri, sentendomi a mio agio, solo quando andavo a fare la spesa dal fornaio, dal fruttivendolo, dal macellaio. Confrontavo prezzi e qualità dei prodotti, ricevevo consigli sulla scelta della frutta e della verdura nonché segreti per cucinare pietanze alternative alle solite. Avevo del tempo a disposizione o, forse, sono cambiati i tempi…non so…ho tanta nostalgia dei negozi sotto casa accoglienti e rassicuranti. Ultimamente due cari amici mi hanno chiesto dove fosse un negozio di ferramenta nei pressi di casa e, con grande senso di smarrimento, ho navigato nei ricordi per cercarne uno che però non esiste più….Grazie Clara per la tua attenta osservazione su questo desolante scenario che ci porta, nostro malgrado, a fare acquisti in centri commerciali e discount freddi e poco familiari

  5. Clara Margani scrive:

    Ringrazio Rosanna, Micol, Silvia e Gemma di aver condiviso con me questa sensazione di perdita e di abbandono.

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