scrittori siculi e luoghi comuni

9 marzo 2012 di: Rita Annaloro

Sicuramente Giuseppe Rizzo non si aspettava una palermitana in mezzo al pubblico dei “Nuovi Samisdat”, che si riunivano in una piccola pizzeria dei sobborghi di Padova per ascoltare la presentazione del suo romanzo L’invenzione di Palermo. L’accattivante titolo, spiegava l’autore, nasce da una storiella che la nonna della protagonista usava ripetere ai nipoti sull’origine di una città tanto stramba, “inventata” dal buon Dio la settimana dopo tante faticose creazioni e per questo riuscita “un po’ storta”. Quando l’intervistatore gli chiedeva conto di queste “stranezze” lui si lanciava in una serie di affascinanti iperboli che suscitavano la domanda su cosa lui identificasse con Palermo. A questo punto il giovane giornalista dagli occhi di fuoco e dal basettone lungo, vero prototipo del siciliano secondo la pubblicità televisiva, si lanciava in una fantasiosa descrizione dell’odore di panelle, milza e stigghiole (termini adeguatamente spiegati al pubblico affamato di curiosità gastronomiche) che secondo lui si diffonde inconfondibile dalla Stazione Centrale, pervadendo tutta la città. Ciò è causato, a suo dire, dall’abitudine dello spuntino a base di frittura (!!!) a metà mattina, assai diffuso a Palermo, visto che l’occupazione prevalente è quella degli scansafatiche, che spesso si ammanettano davanti a Palazzo delle Aquile per protestare contro qualunque cosa.

Inutile dire quanto risultasse gradito questo racconto agli spettatori veneti, che scoprono tutti i giorni sui giornali frodi vergognose (un quarto degli studenti universitari gode ingiustamente dell’esenzione dalle tasse, mentre metà degli assegnatari di alloggi popolari è possessore di mercedes o altre auto di lusso). Non si può che rallegrarsi della conferma di povertà e miseria morale in una città da sempre considerata fra le cause della rovina d’Italia, simbolo stesso della mafia, abbandonata dallo Stato alla sua fine, come più volte ricordato da Giuseppe Rizzo che a Palermo ci ha vissuto davvero, prima come studente e poi come giornalista. Lavorando per “Il Giornale di Sicilia”, continuava lui, ho scoperto zone della città dove il degrado si associa a grandi momenti di umanità, come il mercato di Ballarò dove la domenica si svolge un pazzesco mercato dell’usato.

Viene da chiedersi a questo punto se il nostro giornalista a Palermo sia vissuto davvero, o in che stato confusionale si trovava quando si recava a Ballarò la domenica, visto che da sempre generazioni di palermitani di varie occupazioni fanno la spesa di pesce, frutta e verdura proprio lì. Forse sono quelli che non si fanno lo spuntino a base di frittura al mattino, forse ci sono anche quelli che pranzano ancora, se riescono a trovarli, con pane e panelle o focacce schiette o maritate, ma dire che la città è un “mercato a cielo aperto” appare un’invenzione, forse simpatica, neanche tanto originale, che non so che vantaggi economici porterà al nostro autore, ma che ci lascia sgomenti, pensando che se questa è l’immagine, cioè lo stereotipo propagandato dai giovani talenti siciliani (Giuseppe Rizzo, oltre a scrivere per l’Unità, ha anche vinto il premio Mondello Giovani) ben poco possiamo sperare dal futuro.

3 commenti su questo articolo:

  1. Maria Stella scrive:

    Rita, non è solo chi scrive ma anche chi parla si dovrebbe esiliare, penso all’esilio perchè sembrano stranieri che parlano di noi dopo aver sfogliato un pessimo opuscolo sulla Sicilia, sulla linea aerea diretta Palermo Touluse di Mangia, anni fa ne ho trovato uno che spiegavano come le donne fossero scure di capelli ed avessero i baffi!Sono andata a reclamare chissà se l’hanno cambiato.

  2. Carmela Bucalo scrive:

    Continua, continua il racconto di una Sicilia che non esiste, un misto fra il libro del gattopardo e uno sciopero dell’immondizia. a farci questo tipo di pubblicità sono proprio gli emigrati da tanti anni all’estero che ricordano una Sicilia mai esistita forse per soffrire meno di nostalgia.

  3. rossella caleca scrive:

    Il fatto è che la Sicilia “fa colore”, in molti, in Italia e all’estero, ci considerano un popolo “di interesse etnografico”, confermati in quest’opinione da giornalisti e scrittori, sicilianisti al contrario, che trovano comodo sottolineare gli aspetti più degradanti e deleteri della nostra realtà sociale di ieri e di oggi, certi che il grande pubblico apprezzerà.

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