authority, audit, privacy e trattative per le nomine

17 giugno 2012 di: Daria D’Angelo

La legge costituzionale da poco approvata, che introduce il pareggio di bilancio, prevede l’istituzione presso le Camere di un organismo indipendente che faccia analisi, verifica e valutazione in materia di andamenti di finanza pubblica e adempimento delle regole di bilancio. Quella che per l’Italia sarà una novità, in altri Stati europei (e non solo) è una tradizione consolidata. Peccato che, a differenza dell’Italia, per garantire l’indipendenza di un’autorità, lo strumento comunemente usato è indipendenza e competenza per la nomina (garantiti dall’individuazione di varie ipotesi di incompatibilità), e la nomina da parte del potere legislativo, con soglie di maggioranza abbastanza alte da far convergere le parti politiche su figure neutre e professionalmente molto valide. La principale ragion d’essere dell’Authority, infatti, sta proprio nel suo essere “super partes”, al servizio del Paese e della società civile. Questo accade nei Paesi di tradizione anglosassone, dove esistono da più di un secolo autorità che svolgono funzioni di “audit”, passano cioè al microscopio le spese dello Stato, per verificare sprechi e inefficienze, controllano la corrispondenza tra stime e risultati e fanno previsioni sull’impatto che eventuali proposte di legge possano avere sul bilancio. In Italia suonerebbe come una bestemmia, sarebbe una spina nel fianco per i governanti sottoposti a un controllo costante, ma non lo è grazie a “modifiche” che denotano quanto lontana sia la mentalità della giustizia e del cambiamento.

È già accaduto per le nomine per l’Autorità per le comunicazioni e in quelle per la Privacy: nessuno di chi aveva voce in capitolo ha mai aperto, di certo, i curricula arrivati in Parlamento per la selezione delle candidature, tutto, allora, era stato già deciso nelle trattative interne e con gli altri leader di partito: sfogliando non le note caratteristiche dei candidati, ma il caro vecchio manuale Cencelli in base al quale nella prima Repubblica i partiti si dividevano le nomine nelle aziende pubbliche. Ci sarebbe, è vero, la possibilità di attribuire alla Corte dei Conti le funzioni di audit, invece che istituire autorità indipendenti, ma in questo caso bisognerebbe consentire l’accesso dei magistrati alle fonti informative rilevanti, che restano, invece, gelosamente custodite esclusivamente dal governo, in particolare dal ministero dell’Economia. Tutti gli accorgimenti, in Italia, vengono vanificati, i partiti si mettono d’accordo per nominare loro uomini di fiducia, scambiandosi favori, e in questo modo restano in piedi tutte le perplessità per essere contrari all’istituzione di un’ennesima autorità indipendente, anche se a suggerirlo è l’Unione europea.

Per un reale cambiamento nel senso della responsabilizzazione dei governanti, più che nuove leggi servirebbero nuove teste. Con i partiti italiani rischia di essere tutto inutile, e si rischia per giunta l’istituzione di un ennesimo poltronificio. La sceneggiata penosa del curriculum, quella almeno ce la potrebbero risparmiare.

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