il ponte dei miracoli

8 ottobre 2015 di: Rosanna Pirajno

Nei periodi di grandi tensioni e di poche e pure confuse idee per risolverle, all’improvviso spunta un argomento che ha tutta l’aria di servire da “arma di distrazione di massa”, tale è il carico di ineffabile stoltezza con cui prova a sviare l’opinione pubblica dai problemi serissimi che l’attanagliano. Puntualmente è emerso perciò, mentre i cittadini non sanno a che santo votarsi tra paure insicurezze e incertezze di presente e futuro, lo spettro salvifico del Magnifico Ponte sullo Stretto di Messina, madre di tutte le infrastrutture immaginifiche perché ingravidata del potere taumaturgico di far decollare la Sicilia – e non è detto anche la Calabria – fin qui preda di tutti i mali del meridione, isolamento malapolitica malaffare arretratezza corruzione mafie inefficienze a largo raggio disoccupazione povertà materiale e intellettuale. Faremo il Ponte, se ne esce di bello il ministro siciliano – non è un dettaglio – agli interni Angelino Alfano e, pooff, tutti i mali scompariranno.

L’opinione pubblica, prontissima, cade nella trappola dividendosi tra favorevoli e contrari singolarmente saldati però dalla medesima motivazione: «non è ammissibile che la Sicilia sia spezzata in tre da crolli e frane sulle autostrade e da reti ferroviarie da terzo mondo», e come dargli torto.

Cioè il ponte come evasione da inefficienze endemiche, che permarranno, o come lenimento di ferite che chissà come e perché sanerà.

Peccato che pochi siano sufficientemente documentati, e del ministro se ne intuisce la ragione, sulla reale fattibilità dell’opera e sulle insormontabili difficoltà che incontrerebbe, prima della realizzazione se mai avvenisse, la progettazione esecutiva (quella del 2011 di Eurolink è considerata talmente lacunosa dalla Commisione Valutazione Impatto Ambientale da far richiedere 223 integrazioni su tutti gli aspetti nodali, finora non soddisfatte) di un mastodonte che non ha uguali al mondo non esistendo finora un impalcato a campata unica di 3.300 mt, ché quella del più ardito ponte di Aizhai in Cina è lunga appena 1.176 metri e 1.118 m del Bisan-Seto in Giappone.

E anche questo non è un dettaglio, salvo a voler sostenere che tutti i libri (si libri, e cito uno per tutti il sostanzioso AA.VV. Il ponte insostenibile, Alinea del 2002) e articoli scritti e inchieste giornalistiche condotte (una per tutti, Report su Rai3 il 24.09.2002) abbiano raccontato fandonie e falsità, mentre gli illusionisti dei rendering avrebbero già risolto e superato ogni problema, la sismicità dell’area, la deriva delle sponde, i venti dominanti e l’insostenibile oscillazione che ne impedirebbe la fruizione 60 giorni l’anno, l’impatto delle opere a terra che tra rampe di accesso stradale (24 km) e ferroviario (36,5 km), torri di sostegno (2 da 376 m di altezza), scavi di fondazione e opere di ancoraggio (migliaia di mc di sbancamenti da smaltire, migliaia di mc di blocchi di cemento da interrare in aree densamente antropizzate), raccordi stradali e ferroviari e annessi e connessi per rendere l’opera fruibile, occuperebbero un’aria, devastandola, di circa 50Ha, senza contare i costi spropositati, oltre gli stimati per difetto 8,5 miliardi di euro per la costruzione, di manutenzione e pedaggio su cui i sostenitori amabilmente glissano.

Si può credere al ministro Alfano che allegramente ci propina il Ponte “volano di sviluppo della Sicilia”, o agli scienziati e tecnici V.Bettini, M.Guerzoni, A.Ziparo che già nel 2002, avendo studiato e valutato a fondo la fattibilità dell’opera, la definivano «ad alta densità di capitale, programmaticamente obsoleta e tecnologicamente già superata, ad altissimo impatto ambientale e paesaggistico e forte consumo di suolo». A ciascuno il suo abbaglio, basta che si sappia cosa comporta.

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