la disumanità del mondo: il dramma degli aborti selettivi

7 ottobre 2015 di: Giorgia Butera

E’ femmina: queste due parole, pronunciate dall’ostetrica, possono ancora suonare come una condanna a morte in buona parte del mondo. Mancano all’appello 100 milioni di bambine mai nate a causa dell’aborto selettivo. Accade soprattutto in India e in Cina (in questo paese mancano all’appello ogni anno 100 milioni di bambine), ma anche in Corea, Vietnam, Pakistan, Bangladesh e in alcuni paesi dell’area balcanica; in Armenia, nella fascia d’età sopra i 18 anni, si contano 39mila maschi in più rispetto alle femmine.

Ma l’aborto selettivo è diventato una triste realtà anche per le bambine nate lontano dai Paesi d’origine dei genitori: in Gran Bretagna mancano all’appello negli ultimi anni tra le 1.400 e le 4.700 bambine, stando ai dati del censimento 2011.

Bisogna contrastare le principali forme di violenza e discriminazione nei confronti delle bambine, partendo già dall’aborto selettivo sino alla schiavitù domestica (11 milioni le ragazzine che vengono cedute come serve a famiglie ricche) ai matrimoni precoci, alla violenza e alla discriminazione in famiglia, che fa sì che in molti paesi alle bambine siano negate cure mediche, istruzione, perfino una corretta alimentazione, tutto a vantaggio del figlio maschio, quello su cui la famiglia investe.  Nonostante esistano leggi che proibiscono i test prenatali per determinare il sesso del bambino, in India gli aborti selettivi sono una pratica molto diffusa che ha causato un netto calo del numero di bambine nate rispetto ai maschi.

«Ogni giorno ci sono duemila bambine che vengono uccise ancora nel grembo. Alcune di loro, appena nate vengono soffocate con un cuscino» ha riferito Maneka Ghandi all’emittente televisiva indiana NDTV.

Il censimento nazionale del 2011 ha mostrato come in India il numero di bambine nate fosse leggermente sceso rispetto ai decenni precedenti. Nel 2011, infatti, il numero di bambine era di 918 per ogni mille bambini, mentre nel 1981 era di 962 ogni mille. Secondo uno studio risalente al 2011 della rivista scientifica britannica The Lancet, in India oltre 12 milioni di bambine non sono nate a causa di un aborto negli ultimi tre decenni. La società indiana è tradizionalmente di tipo patriarcale e i figli maschi sono visti principalmente come beni patrimoniali che avranno il compito di diventare capifamiglia, ovvero coloro i quali portano a casa i soldi e tramandano il nome della famiglia. Le figlie femmine, invece, sono spesso viste come un problema, per le quali le famiglie devono preoccuparsi di trovare un marito al quale portare una dote congrua attraverso molti sacrifici.

Il Ministro Gandhi ha riferito che la campagna governativa “Beti Bachao Beti Padhao – Salva tua figlia, educa tua figlia” attraverso la quale il governo indiano sta cercando di cambiare la tendenza demografica nel Paese, ha iniziato a sortire i suoi primi effetti dal lancio dello scorso gennaio.

L’iniziativa finora è partita in 100 distretti dell’India dove il numero di bambine rispetto ai bambini è particolarmente basso. L’obiettivo è quello di applicare le leggi che puniscono l’aborto selettivo e di migliorare le possibilità per le ragazze di accedere agli studi.

«Non ci aspettavamo risultati tangibili per almeno un anno o due», ha detto il Ministro Gandhi in occasione della sua prima intervista televisiva da quando ha assunto l’incarico, nel maggio del 2014. Il Ministro ha chiarito che finora la campagna governativa ha portato più a un aumento di bambine mandate in orfanotrofio che a un’accettazione delle figlie femmine vera e propria, aggiungendo che il risultato ottenuto è in ogni caso positivo dal momento che è «meglio abbandonarle che ucciderle».

Una interessante iniziativa arriva da Piplantri, un piccolo villaggio indiano del Rajasthan. Il suo Consiglio di Villaggio (panchayat) ha creato un meccanismo che lega la riforestazione dei terreni e il futuro delle bambine, in un paese dove ci sono aborti selettivi e molti abbandoni di neonate. Il villaggio pianta 111 alberi per ogni bambina che viene messa al mondo. Il Consiglio di Villaggio ha creato un comitato per sapere quali famiglie ritengono la nascita indesiderata. Piantano i 111 alberi e poi vanno a trovare i genitori della nuova bambina con una proposta, un deposito monetario vincolato a nome della loro figlia per i successivi vent’anni. Nessuno ha rifiutato, sino ad ora. I genitori firmano una dichiarazione scritta in cui si impegnano a non far sposare la figlia prima della maggiore età, a mandarla a scuola e ad aver cura degli alberi piantati in suo nome.

Per ogni ragazzina, l’intero villaggio di 8.000 abitanti deposita in banca una somma totale di 21.000 rupie, pari a circa 300 euro a cui si aggiungono altre 10.000 rupie (circa 150 euro) date dai genitori. La pratica, iniziata grazie a un residente, Shyam Sundar Paliwal che perse la giovane figlia nel 2007, ha portato a risultati interessanti, sia dal punto di vista sociale che ambientale. In sei anni, gli alberi piantati sono stati circa mezzo milione: hanno reso il villaggio più verde, riqualificato le aree deforestate, reso più facile l’accesso all’acqua (che ora è disponibile a soli tre metri di profondità e non più a 200). A Piplantri le famiglie piantano pure alberi quando muore un parente.

3 commenti su questo articolo:

  1. Laura scrive:

    L’articolo è interesante e contrariamente ad altri articoli è scritto per spiegare e non per nascondere, l’argomento è scabroso ed impressionante ma proprio per questo va trattato almeno in un sito come il vostro.

  2. Agnese scrive:

    Di questo argomento si parla poco, si scrive poco ma si sa che c’è. E’ meglio chiudere gli occhi, ma la Butera ci spiega tutto ci costringe a guardare la verità

  3. Giusi scrive:

    L’iniziativa degli alberi è da meritare un romanzo o almeno un racconto, o un applauso collettivo, un grazie merita la Butera che ci descrive l’orrore ma anche il rimedio!

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