il giorno dopo, nella scuola italiana

27 novembre 2015 di: Magdalena Marini

All’indomani degli attentati terroristici la scuola italiana ha osservato un minuto di silenzio come in tutte le scuole d’Europa. Tutti gli educatori sono stati investiti di una grande responsabilità da parte del ministro Stefania Giannini:  «…. Dobbiamo parlarne con i nostri studenti e aiutarli a capire che c’è e ci potrà sempre essere un principio di ricostruzione della nostra identità in cui credere e riconoscersi. E dobbiamo aiutarli a rifiutare, oggi più che mai, qualsiasi tentazione xenofoba o razzista. È già successo tante volte nella storia, siamo figli e nipoti di persone che hanno dato la vita per affermarlo. L’educazione è il primo spazio in cui riaffermare i nostri valori, le nostre radici, quindi la nostra libertà ….».

Siamo stati chiamati a vincere le paure nel rispetto della dignità dei bambini e dei ragazzi che vanno a scuola, luogo giusto dove trasmettere due concetti fondamentali: gioia di vivere e serietà nell’impegno.

Siamo stati invitati, noi adulti. a contenere l’ansia. Quale? La nostra, quella di chi opera quotidianamente nella scuola. Quella dei genitori. Non dobbiamo sottovalutare l’allarme. La preoccupazione c’è: sarebbe non umano non averla. Prima conseguenza dell’accaduto è stato il rinvio delle uscite didattiche e di tutte le attività extra scolastiche. A scuola, lunedì mattina si sono presentati ragazzi informati e consapevoli, disorientati. Tante domande, a raffica, come quei colpi sparati dagli autori degli attacchi di Parigi, tanta curiosità, sete di sapere, di capire. Nei loro volti terrore, paura, dispiacere, immedesimazione, sensibilità nei confronti delle vittime. Qualcuno, purtroppo, ha manifestato estraneità, indifferenza considerando l’accaduto come la proiezione di una realtà surreale, quella di un mondo molto lontano, il mondo dei video games violenti dove tutti ammazzano tutti come se si trattasse di un gioco lecito.

Dopo la naturale e fisiologica reazione emotiva nasce il desiderio di ritorno alla normalità. A noi educatori il compito di spiegare senza incutere terrore, affrontare temi di attualità nella considerazione che la vita deve andare avanti. Diciamo ai nostri alunni che i primi a pagare a caro prezzo le conseguenze dell’accaduto, come hanno dichiarato scendendo in piazza, sono i musulmani. Le comunità islamiche italiane dicono: NO all’estremismo, NO al terrorismo, NO alla violenza, NO a ogni forma di crudeltà in NOME di DIO! NO in mio nome. NOT in my name. Così si rivolgono agli assassini della religione, della democrazia, della civiltà. NO all’uso perverso della religione.

La scuola diventa, come più volte ha sottolineato Papa Francesco, una grande famiglia, il posto giusto per imparare ad aiutarsi, a rispettarsi, a condividere quello che c’è di buono in ciascuno di noi, a dare il meglio di noi stessi, a perseverare nei nostri obiettivi che sono il vero, il buono, il bello.

Obiettivo comune, dunque: perseguire la pace, contestualizzare la storia, rassicurare, non trasmettere ansia. A quello ci pensano la televisione e i giornali!

6 commenti su questo articolo:

  1. Gabriele scrive:

    “Non trasmettere ansia. A quello ci pensano la televisione e i giornali”.

    È esattamente quello che penso anche io.

    Tifiamo per la scuola come tifiamo per la nostra squadra di calcio, mettiamoci la stessa passione.

    Forza Scuola Forza!

  2. Lucia scrive:

    Anche in questa circostanza la maggioranza degli operatori ha dimostrato serietà, professionalità, senso della misura

  3. Goffredo scrive:

    Purtroppo abbiamo a che fare con una situazione alla quale credo si dovrebbe prestare si maggiore attenzione ma che, allo stesso tempo, non deve sfociare nell’ossessione che tali soggetti possano riapparire creando paura e sconforto. La soluzione alla base, secondo il mio modesto modo di vedere, è applicare l’indifferenza; indifferenza non intesa come noncuranza di quanto succede intorno bensì indifferenza nel senso che le nostre vite NON DEVONO stravolgersi; ritengo che sia l’arma migliore attraverso la quale dobbiamo convincerci che è giusto che la nostra vita continui con le nostre quotidianità e le nostre cose. Il tutto è importante perché tale modo di porsi deve essere trasmesso ai nostri amati bambini/alunni, primo perché ritengo giusto che proseguano la loro vita felice e spensierata, secondo perché considero ingiusto caricare di responsabilità e paure i cuori innocenti che non possono ad ogni modo partecipare alla causa alla quale deve pensare chi di dovere.

  4. Maria scrive:

    Rinviato il concerto di Natale e rimosso il crocifisso in una scuola del nord Italia: cancellare le nostre tradizioni è giusto? Prevenire imbarazzo e disagio in nome della laicità? Mi sembra che non ci si preoccupi veramente dei nostri figli, delle nostre basi culturali, della nostra sensibilità. Ieri è morto Luca De Filippo, figlio del grande maestro Eduardo. I telegiornali, nel ricordarlo, hanno mandato le immagini di Natale in casa Cupiello …..non è forse la casa della stragrande maggioranza degli italiani? A quanti di noi piace il presepe? Che male c’è ? Dove ci stiamo dirigendo?

    • Francesca scrive:

      Il Natale cancellato per non irritare musulmani e atei ma perché?
      loro si preoccupano per caso di non irritare chi non accetta il loro abbigliamento estremo e le bestemmie di chi non crede?
      il problema è che non abbiamo sviluppato in questo Paese il senso di appartenenza
      e, per questa ragione, tutti si sentono autorizzati a fare tutto ciò che vogliono e a imporlo a chi li sta ospitando.
      Essere un popolo ospitale e accogliente non vuol dire lasciare che gli ospitati annullino i nostri spazi e le nostre usanze…o no?

  5. silvia scrive:

    Dall’allarme terrorismo fondamentalista siamo tornati al solito “tormentone” prenatalizio di casa nostra??? Allego i punti di un promemoria riguardo al presepe nelle scuole trovato su internet che condivido e credo sarebbe utile leggere nelle classi assieme agli alunni per una discussione comune e serena sull’argomento:

    1. La conoscenza reciproca alimenta il dialogo e il rispetto. Gli studenti immigrati di religione non cristiana vengono rispettati di più se noi non cancelliamo i simboli della nostra tradizione e della religione storicamente maggioritaria nel nostro Paese e non li priviamo della possibilità di conoscere un pezzo della storia e della cultura del Paese nel quale vivono e del quale un domani potrebbero diventare cittadini.

    2. I musulmani non sono offesi dalla celebrazione del Natale. Al contrario, il Natale ha le caratteristiche per essere una festa condivisa, in quanto l’Islam venera Maria e considera Gesù l’ultimo profeta prima di Maometto. In numerosi Paesi a maggioranza islamica, il Natale (cattolico o ortodosso) è considerato festa nazionale.

    3. ‘Rispettare’ gli studenti immigrati non cristiani non può significare discriminare quelli cristiani. Non è corretto discriminare i molti studenti immigrati di religione cattolica o più in generale cristiana, impedendo loro di festeggiare a scuola il Natale. D’altronde essi potrebbero arricchire la nostra cultura, ‘insegnandoci’ il modo in cui il Natale viene festeggiato nei loro Paesi d’origine.

    4. Non si può ‘tutelare’ la minoranza limitando i diritti della maggioranza. Vivere in una società multiculturale non comporta le necessità di rendere i bambini italiani ‘orfani’ della loro origine, privandoli della possibilità di conoscere un simbolo della storia religiosa, culturale, artistica, popolare italiana. Rispettare le diversità non significa negare le differenze ma imparare a farle convivere in armonia e rispetto.

    5. Natale è la festa che ricorda l’evento storico della nascita di Gesù Cristo. Questo evento sta alla radice della nostra civiltà al punto tale che noi contiamo gli anni a partire da esso. A prescindere dall’adesione alla religione cattolica, negare il Natale di Gesù significa negare l’origine della nostra civiltà. E’ un atto violento: non a caso furono i nazisti i primi a sostituire il Natale con la Festa della Luce.

    6. Fare il presepe in classe non impone a nessun bambino di diventare cristiano. Il presepe è simbolo di amore e di accoglienza, segno di pace e di fratellanza universale, memoria del sorgere del cristianesimo, religione del nostro paese e fondamento dei valori universali propri di ogni essere umano: libertà, uguaglianza, pari dignità tra uomo e donna. Sono le basi su cui costruire una integrazione autentica, basata sul rispetto reciproco.

    7. La laicità è un metodo, non è un contenuto. Essere laici non significa essere anticristiani ma approcciare in modo ragionevole la realtà e impedire che una posizione prevalga in modo violento sulle altre. La vera laicità include, non esclude, apre al confronto, non chiude fuori dalla porta culture, religioni, tradizioni ma ne valorizza il meglio.

    8. La ‘neutralità religiosa’ offende tutti. Se si toglie dalla scuola il presepe e il riferimento alla nascita di Gesù, per logica conseguenza va tolto ogni riferimento a ricorrenze come il Ramadan o Halloween (è la contrazione di All Hallows Eve che significa ‘vigilia di Tutti i Santi’, la Festa di tutti i Santi); senza dimenticare che lo stesso ‘laico’ Babbo Natale, che in molte scuole porta i doni ‘al posto’ di Gesù Bambino, in realtà è Santa Klaus, cioè San Nicola.

    9. Tolto il presepe, Natale rimane esclusivamente una festa del consumismo, fatta di regali e di abbuffate, priva di valori e di insegnamenti. E’ a questo che vogliamo educare gli studenti delle nostre scuole?

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