in morte di Umberto Eco

20 febbraio 2016 di: Rosanna Pirajno

Non ero al corrente della malattia di Umberto Eco, la sua morte mi ha colto di sorpresa e mi ha afflitto parecchio, mi piaceva questo prof inavvicinabile nonostante la sua apertura mentale. La sua vastissima cultura mi faceva soggezione, per questo non ho mai osato contattarlo, neppure quando il mio Dipartimento allacciò rapporti scientifici con la moglie Renate Ramge, che incontrai in convegni a Palermo dove per qualche tempo ebbe incarichi di insegnamento universitario.

Da Umberto Eco fui folgorata quando iniziai a interessarmi di fumetti come forma d’arte, o comunque forma espressiva che possedeva una sua grammatica e una sintassi inesplorate fino a che lui, il poliedrico studioso di semiotica che non accettava la divisione in Cultura alta e Cultura bassa, non scrisse che sì, anche il fumetto che nessuno allora considerava era materia di studio delle Comunicazioni di massa che si andavano affermando negli anni 60 del novecento.

Su Apocalittici e integrati, uscito per Bompiani nel 1964 suscitando, per inciso, non poche polemiche per le intrusioni della sua Estetica dei parenti poveri nei territori riservati all’Empireo culturale, scrive qualche anno dopo la prima stesura che «i saggi che sarei pronto a recuperare senza troppe correzioni sono quelli su Steve Canyon, quello sul Kitsch, quello sull’uso pratico del personaggio e quello su Superman», e che già da giovane aveva inscritto tra le ricerche possibili: «evoluzione del tratto grafico da Flash Gordon a Dick Tracy; esistenzialismo e Peanuts; gesto e onomatopea nel fumetto; …».

Il fumetto nel suo cuore, dunque, mi stimolò a fare mia una ricerca sul linguaggio figurativo della “città di carta”, ovvero sulla rappresentazione dell’ambiente urbano negli illustratori che lo avevano eletto a co-protagonista delle storie disegnate, con incursioni nell’extra urbano necessario a legare il rapporto città-campagna nell’immaginario fumettistico.

Fu grazie a questo illustre referente, per timore reverenziale ovviamente mai contattato, che da ricercatrice mi fu concesso di tenere un mio corso universitario sulla “Rappresentazione della città nei fumetti”, che appassionò gli studenti al punto da produrre a loro volta tavole sfavillanti, e da farne infine oggetto di tesi di laurea in Architettura.

Trovai in Marcello Benfante, che allora teneva una rubrica sul linguaggio dei fumetti sul Giornale di Sicilia, lo studioso che mi diede una mano a dimostrare agli studenti che la materia era cosa seria e degna di attenzioni, perfino nelle aule universitarie. Come, appunto, aveva anticipato Umberto Eco che non seppe mai, ma figurarsi se poteva importargliene qualcosa, dell’esistenza di una seguace del profondo sud che coltivava un’ammirazione inestinguibile per le sue aperture intellettuali, l’ironia, l’acume, i suoi vastissimi interessi culturali e i molti saperi, il suo impegno civile e politico, fino alle “eccentriche creazioni” della sua mente effervescente.

Come, fra le altre, il Gruppo 63 nato a Palermo «nel corso di un festival musicale e teatrale di ampia apertura europea», come scriverà, con il coinvolgimento di nostri prestigiosi intellettuali tra cui Michele Perriera, e l’ultima avventura della casa editrice La nave di Teseo, che salperà senza di lui. Fai buon viaggio, Maestro.

4 commenti su questo articolo:

  1. Umberto Eco scrive:

    ” Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro”.

    • Umberto Eco scrive:

      ….saper leggere allunga la vita. Chi non legge ha solo la sua vita, che, vi assicuro, è pochissimo. Invece noi quando moriremo ci ricorderemo di aver attraversato il Rubicone con Cesare, di aver combattuto a Waterloo con Napoleone, di aver viaggiato con Gulliver e incontrato nani e giganti. Un piccolo compenso per la mancanza di immortalità.

  2. Rita scrive:

    l’ho sempre pensato, ma è bello vederlo scritto così bene.

  3. Rosanna Pirajno scrive:

    Mi dispiace, per la fretta, di aver fatto confusione tra i nomi di Renate Siebert, che effettivamente incontrai in convegni a Reggio Calabria e a Palermo, e di Renate Ramge che è la moglie di Umberto Eco e che insegnò per qualche anno alla Facoltà di Architettura di Palermo. Al Dipartimento di Rappresentazione a cui appartenevo, si lavorava sui temi della educazione visiva e del colore su cui la prof. Ramge aveva pubblicato testi importanti, da qui le collaborazioni scientifiche.

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