Piccole storie, grandi donne. Coraggio femminile dalle campagne armene

7 marzo 2016 di: Lusine Vardanyan, traduzione EC

Mi chiamo Lusine, vivo a Yerevan, capitale dell’Armenia. Studio Legge all’Università e amo scrivere.

All’inizio del XX secolo, il popolo armeno ha subito il genocidio inflitto dall’Impero Ottomano, in cui un milione e mezzo di armeni sono stati uccisi e molti altri sono fuggiti in Siria e in Libano. Nel 1918, l’Armenia ha instaurato la Prima Repubblica e, nel 1991, ha ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica inaugurando la presente Repubblica. Dal 1991, molte cose sono cambiate. Recentemente, molti stereotipi sono stati infranti, e le donne possono lavorare e viaggiare con molta più libertà. In quanto studiosa di legge, so che le donne, nella Costituzione dell’Armenia, godono degli stessi diritti delle legislazioni di ogni altro Paese europeo. Questi diritti sono equiparabili a quelli degli uomini, pertanto teoricamente sono garantite le stesse possibilità a entrambi i sessi. Ma, sfortunatamente, spesso l’eguaglianza resta nella forma scritta, senza riflettersi nella realtà. È infatti innegabile che in certe parti dell’Armenia, specialmente nei piccoli paesi, continuano le discriminazioni, poiché le donne non lavorano né vengono rispettate dai mariti, che le trattano come beni di cui sono i possessori.

La storia che ho deciso di raccontare viene dalle campagne armene, e parla del coraggio di una donna e madre. Vivo a Yerevan, ma passo molto tempo nel paese dei miei nonni, un villaggio rurale tra le montagne. In una di queste occasioni, seduta in balcone, immersa nella lettura di un libro, sentii una donna piangere e chiedere aiuto. Confusa, corsi per capire cosa stesse succedendo. Nell’uscio della casa dei vicini, vidi la peggiore scena di crudeltà della mia vita: una donna disperata abbracciava il suo bimbo piangente, cercando di convincerlo che tutto andasse bene. Ero scioccata, non sapevo cosa fare, e alla fine andai colpevolmente via senza dire nulla, ma senza riuscire a smettere di pensare all’accaduto. Fu così che mia nonna mi raccontò della storia di Astghik. Durante i suoi studi a Yerevan, Astghik si innamorò di un uomo di nome Davit. Dopo poco tempo si sposarono e ebbero un figlio. All’inizio, il marito era gentile, ma presto mostrò la sua vera identità e il suo pessimo carattere, vessando e abusando della moglie. Tempo dopo, scoprii che il marito era morto per alcolismo. Astghik, dopo avere sopportato tante violenze, crebbe così il suo figlio da sola grazie al duro lavoro, e creò per lui la possibilità di studiare a Yerevan e diventare un individuo educato e dignitoso. Dopo avere appreso del suo successo, ho potuto respirare liberamente, ricordando le sagge parole di mia nonna, che diceva “è facile arrendersi ai sentimenti di sconforto e perdere le sfide. Ma la forza nascosta nelle donne, ci permette di superare le grandi difficoltà che affrontiamo”. Del resto, “la migliore protezione di una donna è il coraggio”, diceva Elizabeth Cady Stanton. Essere coraggiose è una scelta, e la felicità va raggiunta con il coraggio, che ci aiuta a vincere ogni difficoltà. Spero che tutte le donne oppresse e non rispettate trovino nella coraggiosa Astghik, che ha impegnato ogni suo sforzo per dare dignità alla vita di suo figlio, un esempio e una guida. Melinda Gates ha detto “Viviamo ancora in un mondo in cui una significativa porzione di persone, e tra questa molte donne stesse, crede che la donna appartenga e voglia appartenere esclusivamente alla casa”, mentre “una donna che ha voce è per definizione una donna forte. Ma la ricerca di quella voce può rivelarsi notevolmente difficile”.

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