vendere souvenir autentici, perché no?

26 aprile 2016 di: Rita Annaloro

E’ bello vedere Pompei brulicante di turisti di tutte le età e nazionalità che tornano a far rivivere le vecchie strade, anche se quando entriamo nelle case romane devastate dall’eruzione del vulcano vorremmo istintivamente proteggere quel che resta degli antichi preziosi pavimenti, calpestati ogni giorno da centinaia di turisti. Impresa impossibile, ci fa notare l’archeologo che ci guida, visti i costi esorbitanti necessari per preservare rovine di quelle proporzioni.

Anche per la manutenzione ordinaria e la conservazione dell’esistente i fondi europei non bastano, visto il lungo periodo in cui non si è speso nulla poiché il settore dei beni culturali veniva considerato improduttivo. Allora ben vengano le iniziative commerciali, come le esposizioni artistiche di Mitoraj o i concerti di Elton John e di David Gilmore, anche se la gran parte del ricavato andrà a riempire le casse delle troupe degli artisti, ma quando vediamo gli enormi depositi dei materiali provenienti dagli scavi, pieni di cassette contenenti pezzi di cocci che mai nessuno riuscirà ad assemblare o pezzetti di lapilli dell’eruzione del 79, ci chiediamo perché non si possa far cassa anche con i detriti.

In molti musei della Cina, pare che i turisti possano comprare nei negozi dei piccoli souvenir autentici, chiusi in sacchetti, con delle statuine o monete di cui sono stati ritrovate enormi quantità di copie. Qualcuno potrebbe obiettare che è ben diverso portarsi a casa una monetina o un cavallino, piuttosto che un pezzo di vetro o terracotta, ma se pensiamo a tutti i sassi del Muro di Berlino vendute dai tedeschi, ci stupiamo che in quella città si possano ancora vedere pezzi del famigerato Muro. Vuoi vedere che adesso gli Europei si accingono a costruirne così tanti sperando nei futuri guadagni, quando saranno abbattuti dall’eruzione popolare?

E noi Italiani non potremmo per una volta partire in vantaggio, con tutto il materiale che trabocca nei magazzini dei musei di Napoli, Agrigento, Selinunte, Palermo, Roma eccetera eccetera? Se qualcuno lancia una petizione on-line, io firmo subito.

6 commenti su questo articolo:

  1. Rosanna scrive:

    Ho sentito anch’io parlare della vendita di souvenir autentici in alcuni musei della Cina. Io credo che da noi sia impossibile farlo, sia per un’idea dello Stato che ne risulta proprietario e custode, anche se sovvenziona in maniera risibile gli studi e i progetti di restauro e conservazione, sia perchè esiste un mercato di trafugatori, mediatori e collezionisti che li vende e li compra nell’ombra sia nazionale che internazionale. Sono molto d’accordo sul fatto che lo Stato debba trovare soluzioni “commerciali” per raccogliere fondi da destinare al nostro patrimonio con concerti, mostre, spettacoli nei siti più famosi ma anche in quelli meno conosciuti. Possediamo le location più belle al mondo e non dobbiamo temere di farle vedere e di usarle.

  2. antonella scrive:

    Non so se sia il caso di mettere in vendita oggetti antichi, seppur di piccole dimensioni, presenti in più copie nei magazzini dei nostri siti archeologici, perchè come dice Rosanna è diffusa presso di noi ” un’idea dello Stato che ne risulta proprietario e custode”, e non può trasformarsi in un semplice rivenditore. Ben vengano però eventi e crowdfounding per sovvenzionare restauri e conservazione.

  3. simona scrive:

    Non ho mai capito il bisogno di possedere qualcosa che appartiene a tutti. Un reperto archeologico, un fossile, una parte di qualche monumento appartenente al passato, alla storia di tutti, per quale ragione dovrebbe trovarsi confinato nella casa di un solo individuo con la mania del collezionismo di beni comuni? Esistono i musei. Un museo privato legato a una forma patologica di senso del possesso, ecco la fiera dell’inutilità….

    • Rita scrive:

      Anch’io non ho lo spirito del collezionista, ma è innegabile che tanta gente è da sempre disposta a pagare
      fortune per qualsiasi cosa, dai fossili di insetti alle corde di una chitarra appartenuta ad una rock star.
      Sicuramente un mercato illegale di reperti archeologici esiste da secoli, e comunque liberare i depositi
      di vecchi detriti in modo legale e democratico non nuocerebbe a nessun’altro che agli impiegati delle
      sovrintendenze, che dovrebbero decidere sulle singole materie. Si potrebbe mettere a frutto la pletora di
      impiegati statali già esistenti, però…..tante cose si potrebbero fare!

  4. Carla scrive:

    Io sono per i “beni comuni” e non per quelli privati. Si è lottato tanto per affermare il concetto di bene comune in questi ultimi anni che non mi sembra opportuno privatizzare i beni archeologici che rappresentano il nostro ricco passato non più monopolio di alcuni privilegiati ma della comunità. E’ anche vero che parte di questa nostra eredità è stipata in maniera più o meno ordinata in magazzini da tanti anni e forse si sta deteriorando, ma venderla al turista di passaggio mi risulta per lo meno inopportuno se non deleterio.

  5. Gemma scrive:

    Ho accompagnato i miei alunni in campo scuola. Non apparivano interessati ai racconti delle guide sulle bellezze artistiche, architettoniche, culturali e naturalistiche del nostro Bel Paese quanto all’acquisto di souvenir da portare a casa per alimentare le collezioni scombinate della propria famiglia. Temo che l’educazione ricevuta sia palese: avere tutto, anche ciò di cui non si capisce il reale valore, perché possibile entrarne in possesso dietro pagamento di denaro disponibile. Sarebbe necessario spiegare agli eventuali acquirenti di materiali presenti nei magazzini dei musei qual è l’importanza storica e culturale di ciò che acquistano, anche finalizzandolo al sostegno del mantenimento dei beni culturali…partendo dall’educazione alle famiglie.

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