il problema della lingua nella scuola italiana

27 maggio 2016 di: Magdalena Marini

La realtà vissuta dai ragazzi di Barbiana non è più riscontrabile nell’Italia del 2016, i disagi economici e sociali sono infatti diversi rispetto a quelli dell’Italia del dopoguerra e del boom economico. Don Lorenzo Milani negli anni ’60 viveva in uno sperduto borgo dell’Appennino toscano dove, al suo arrivo, c’era solo una scuola elementare: cinque classi in un’aula sola. I ragazzi, timidi e disprezzati uscivano dalla quinta semi analfabeti e andavano a lavorare. Decise allora di dedicare il suo ministero per la loro elevazione civile e non solo religiosa. Quelli che stavano in città si meravigliavano dell’orario scolastico della scuola di Barbiana, parlavano di sacrificio… eppure, prima che arrivasse il priore, i ragazzi facevano lo stesso orario (e in più tanta fatica) per procurare lana e cacio a quelli che stavano in città e nessuno aveva da ridire.

Ma quei ragazzi vivevano praticamente con don Lorenzo, ricevevano visite, leggevano e commentavano libri, quotidiani, posta, scrivevano insieme. I ragazzi di Barbiana facevano scuola tutto il giorno, senza ricreazione. Avevano senso di responsabilità, senso del dovere, sapevano di non conoscere e volevano apprendere per affrontare il mondo con maggiore consapevolezza. I più grandi insegnavano ai più piccoli, chi più sapeva insegnava a chi sapeva meno, non c’erano registri, interrogazioni, compiti, valutazione: si studiava, sempre … «Finché ci sarà uno che conosce 2000 parole e uno che ne conosce 200, questi sarà oppresso dal primo. La parola ci fa uguali». Così gli allievi di don Milani sintetizzarono l’essenza del suo pensiero.

I poveri dovevano far propria la lingua dei ricchi, unico elemento valido della cultura borghese, perché solo allora essi avrebbero potuto esprimere, in maniera adeguata, i propri valori, solo attraverso l’uso corretto della lingua avrebbero potuto essere uguali agli altri. La realtà vissuta dai ragazzi di Barbiana non è quella dei ragazzi italiani di oggi bensì quella dei tantissimi immigrati di varia provenienza che devono affrontare il problema della lingua e che sperano di diventare cittadini italiani con un degno inserimento nel mondo del lavoro. Per Eraldo Affinati e Anna Luce Lenzi, oggi Barbiana si pone in chiave multiculturale nella scuola di lingua italiana per stranieri denominata “Scuola Penny Wirton” che prende il nome dal ragazzo alla ricerca di una sua dignità personale, raccontato dallo scrittore italiano Silvio D’Arzo. Si tratta di una scuola presente in diverse città come Roma, Milano, Torino, Aversa, Cosenza, può essere frequentata da giovani, adulti, uomini e donne di ogni età e provenienza, non ci sono incombenze burocratiche, valutazione, programmazione, obbligo di frequenza, scadenze. Non ci sono classi ma relazione personale tra chi insegna e chi apprende. I docenti prestano la propria opera gratuitamente garantendo accoglienza e integrazione, nel rispetto della diversità, offrendo la propria competenza e modulandola alle diverse esigenze.

«È solo la lingua che rende uguali. Uguale è chi sa esprimersi e intendere l’espressione altrui».

Lorenzo Milani

6 commenti su questo articolo:

  1. gemma scrive:

    Ringrazio la redazione per aver pubblicato questo articolo proprio oggi 27 maggio:
    se don Lorenzo Milani non ci avesse lasciato a soli 44 anni oggi ne compirebbe 97.
    Tante volte mi sono chiesta come sarebbe stata la scuola italiana se avesse continuato a combattere contro
    idee retrograde, pregiudizi, ottusità, nozionismo sterile, disparità di trattamento tra diversi….
    Ancora oggi,dopo cinquant’anni seguiamo le sue orme e crediamo nel suo modo di fare scuola
    attento a tutti e a ciascuno, innovativo, vivace e creativo, pratico, flessibile, sapiente….
    grazie don Lorenzo

    • marghe scrive:

      97 è una svista, oggi don Milani avrebbe 93 anni essendo nato nel 1923
      al di là degli errori di battitura ci manca tanto….

  2. loris scrive:

    Ho lavorato per un anno al Centro Territoriale Permanente a Tor Pignattara, il quartiere di Roma con la più alta concentrazione di immigrati della città. Praticamente il 100% dei miei studenti erano immigrati. Il contatto con la scuola, per molti di loro è spesso il primo vero e proprio incontro con la nostra cultura. Ognuno di loro ha spesso storie tragiche alle spalle e convinzioni distanti dal nostro modo di pensare. Molto spesso la scuola è il primo vero e proprio contatto con la nostra cultura, un incontro /confronto che non può che portare giovamento a tutta la società. L’integrazione vera e propria penso che non può essere raggiunta in tempi brevi, ma si può fare tanto per imparare la convivenza e comprendere le diversità. La lingua è il primo elemento discriminante. Progetti come quello di Affinati sono certamente lodevoli. Non dovremmo fare molta fatica per capirlo se pensiamo quanto la questione della lingua sia stata importante per il nostro Paese sin dall’unità d’Italia e poi oggi che finalmente ci comprendiamo da nord a sud, forse dobbiamo ancora perfezionare il nostro inglese per sentirci veramente cittadini europei.

  3. Gabriele scrive:

    Viva la scuola che “cura” tutti! Non la scuola che “cura i sani e respinge i malati”, parole utilizzate dallo stesso Don Milani per spiegare la situazione drammatica del concetto di scuola nel suo tempo.
    Viva la scuola che fa sentire tutti uguali perché tutti bisognosi di “cure” e tutti capaci e vogliosi di utilizzare “la lingua”!

  4. Anna scrive:

    Sulla lingua ho appena letto “La lingua batte dove il dente duole” degli ottimi Camilleri e De Mauro, in pratica un avvilente spasso. Buona lettura a tutti

  5. Egidio scrive:

    Concetto limpido, nitido e puro ma purtroppo, per forza di cose, ormai utopico. Ormai l’amore per il sapere, per la lingue, per il dialogo, per lo scambio sembra esser sempre più tipico di un élite ristretta di persona. Sono cambiati i gusti, le preferenze, gli interessi e le esigenze…sembra esser cambiata proprio la vita, intesa questa come concetto a sé stante. Tuttavia, chi ha questa particolare anima, non può far altro che trasmettere oltreché portar avanti la propria idea.
    Come spesso si dice, “vivere per niente o morire per qualcosa”, io propendo per la seconda; chi ha dentro di sé ispirazioni/vocazioni similari all’etica tenuta da Don Milani DEVE proseguire il suo cammino, vivendo così per un IDEALE che possa riempire la propria vita ogni giorno.

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