pensierino sul lavoro nero, non al nero

2 agosto 2016 di: Gilda Bambocci

Rieccomi di nuovo tra voi, come ogni estate da due anni a questa parte. Non so perché ma considero Mezzocielo la mia meta estiva, il distacco da un mondo che non mi piace. Quest’anno non vi annoierò con i soliti problemi perché ho avuto un incarico a tempo determinato e ho anch’io i soldi per andare in ferie, anche se solo per pochi giorni. Prima di partire vorrei però che ridiate con me su uno degli argomenti più cavalcati dalle propagande leghiste e reazionarie del Paese.

Gli immigrati rubano il posto di lavoro agli italiani? Quel martedì autunnale, giorno di selezione per l’incarico che ho poi ottenuto, me lo sono chiesta mille volte. Procedevo lentamente, con la mia laurea umanistica vecchio ordinamento e i miei corsi di specializzazione in tasca, riflettendo su quanti concorrenti provenienti dall’Africa avrei dovuto sbaragliare per un incarico di archivista a tempo. È noto, infatti, che le persone migranti sfidino il mare in tempesta con i barconi per andare ad occupare i ruoli più importanti e di prestigio della catena lavorativa, le professioni, i posti di comando.

Quanti sono gli immigrati che fanno gli ingegneri, i medici, gli psicologi e gli architetti? Li incontriamo ogni giorno, in giacca e cravatta, indaffarati e con la ventiquattrore Louis Vuitton in mano. È altrettanto noto il fatto che gli stessi africani, se non riescono, si accontentino di fare il ragioniere, la segretaria o la commessa nei negozi di abbigliamento. Insomma, la disoccupazione intellettuale italiana è seriamente messa in difficoltà da queste nuove presenze. Mi pare di sentirle, le vostre risate, perché non si può fare a meno di ridere e sperare che, un giorno, anche i nostri amici venuti dal mare riescano ad accedere, in massa e per merito, a quei posti che oggi occupano in percentuali purtroppo irrisorie, a volte pur avendo i titoli per occuparli.

Certamente, se un ragazzo inglese avanza le stesse paure rispetto ad un cervello in fuga dall’Italia, le cose cambiano, perché si tratta di società europee e scolarizzate. Anche in questo caso, però, vi invito a ridere a crepapelle. Quando ci presentiamo ad un colloquio o partecipiamo ad un concorso pubblico per ottenere un posto di lavoro, perché dovremmo superarlo o vincerlo? Perché siamo italiani, inglesi o americani o perché siamo i più idonei (le più idonee) al compito da svolgere? Buone vacanze!

1 commento su questo articolo:

  1. gemma scrive:

    é più facile erigere muri che costruire ponti per coloro che scappano da povertà e nemici, fame e morte, spesso indesiderati perchè considerati una potenziale minaccia, discriminati ancor prima di ascoltare le ragioni per le quali chiedono accoglienza e integrazione. Già la prima fase è assai problematica, figuriamoci quella che permetterebe di attribuire la cittadinanza con relativi diritti e doveri a queste persone… solo i figli di stranieri nati sul teritorio nazionale, residenti in modo stabile fino al compimento del ciclo scolastico obbligatorio, in possesso di titoli di studio adeguati per partecipare a concorsi, in grado di padroneggiare la lingua italiana, presentare una domanda, un curriculum vitae potrebbero accedere ai posti di cui si parla in questo articolo parla con saggia ironia!

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