ignoranza dell’italiano (e non solo) nella scuola italiana

16 febbraio 2017 di: Magdalena Marini

Come ha affermato il linguista Tullio De Mauro in Italia oggi, «soltanto un po’ meno di un terzo della popolazione ha quei livelli di comprensione della scrittura e del calcolo che vengono ritenuti necessari per orientarsi nella vita di una società moderna». La scuola di una volta, quella dei dettati, dell’analisi grammaticale e dell’analisi logica, dei riassunti, dei temi, ha perso la sua identità. La scuola, a forza di cambiamenti, ha finito per perdere le caratteristiche note a tutti i responsabili dell’insegnamento e del conseguente apprendimento della lingua italiana.

Troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco, non sanno argomentare. Magari i ragazzi conoscono tutti i termini legati alla telematica, all’informazione, alla Communication Technology ma, spesso, sono incapaci di organizzare un ragionamento scritto con una introduzione, uno svolgimento e una conclusione. Il mondo virtuale dell’informatica ha cambiato il modo di comunicare dei nostri ragazzi. Oggi i giovani whatsappano, twittano, postano su Facebook, loggano effettuando un accesso oppure lo bloccano, escludono, cliccano premendo un pulsante, crackano aggirando le protezioni di un programma, scrollano la rotella del mouse per leggere una pagina sul web o zippano comprimendo file in una cartella per occupare meno spazio. La tecnologia, tuttavia, non basta.

A conclusione del proprio percorso formativo, lo studente dovrebbe utilizzare conoscenze, competenze e abilità acquisite strada facendo, nei contesti sociali in cui interagisce sia per ragioni di studio che di lavoro o, semplicemente, nella vita quotidiana. I docenti dei TFA (Tirocinio Formativo Attivo) o dei PAS (Percorsi Abilitanti Speciali) si stupiscono del livello di istruzione dei laureati. I docenti universitari sottolineano l’ignoranza dell’italiano degli studenti provenienti dai licei e ne attribuiscono la responsabilità ai loro insegnanti, i quali, a loro volta, lamentano la scarsa preparazione degli alunni che provengono dalle scuole secondarie di primo grado. I professori delle medie, spesso, hanno una pessima opinione del lavoro svolto dagli insegnanti della scuola primaria. Si gioca a “scaricabarile” come un tempo facevano i ragazzi, ponendosi schiena contro schiena e, tenendosi con le braccia incrociate e piegate, alzandosi a vicenda più volte.

Gli operatori del mondo scuola cercano di esimersi dai proprî doveri o responsabilità, riversandoseli vicendevolmente. Cinquant’anni fa ci lasciava don Lorenzo Milani. Un pioniere! Le sue lettere, le sue riflessioni, i suoi insegnamenti sono estremamente attuali: «La parola è la chiave fatata che apre ogni porta». «Quando il povero saprà dominare le parole come personaggi, la tirannia del farmacista, del comiziante e del fattore sarà spezzata. Un’utopia? No. E te lo spiego con un esempio. Un medico oggi, quando parla con un ingegnere o con un avvocato discute da pari a pari. Ma questo non perché ne sappia quanto loro di ingegneria o di diritto. Parla da pari a pari perché ha in comune con loro il dominio della parola. «È solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli». «E non basta certo l’italiano, che nel mondo non conta nulla. Gli uomini hanno bisogno d’amarsi anche al di là delle frontiere. Dunque bisogna studiare molte lingue e tutte vive».

7 commenti su questo articolo:

  1. Maria Teresa scrive:

    Sono perfettamente d’accordo con quanto scritto. Purtroppo il progresso digitale ha portato come conseguenza anche la perdita della capacità di scrivere correttamente e il piacere della lettura . Leggendo testi di vario tipo si sviluppa la fantasia
    e si vive in modo piacevole il silenzio.Si impara a parlare ascoltando e riflettendo su quanto viene proposto non solo dagli insegnanti ma da quanti hanno qualcosa da trasmettere . L’importanza del dialogo sereno è fondamentale per apprendere e si scoprono ogni giorno cose nuove . Maria Teresa

  2. Gabriele scrive:

    La lingua rende eguali.
    I bambini sono fiaccole da accendere e non otri da riempire.
    Accendiamoli con le parole, non riempiamoli di parole e basta!

    “Sentir parlare, venir voglia!” (semi-cit.)

    #Lettura #SenzaLimiti #SenzaBarriere

  3. Vincenza scrive:

    Dalla griglia di correzione della prova scritta di italiano:
    - l’elaborato si presenta non attinente alla traccia
    - è espressso in modo confuso, ripetitivo, incoerente
    - risulta scorretto dal punto di vista grammaticale
    - il lessico adoperato risulta non appropriato, povero e ripetitivo
    - la capacità di espressione personale stentata e frammentaria
    Ditemi se questo è uno studente o se la scuola, oltre che valutare negativamente
    non è più in grado di impedire che si arrivi a situazioni così irreparabili….

  4. silvia scrive:

    Se il linguaggio è il mezzo attraverso cui l’uomo esprime il proprio pensiero, non disporre di sufficienti ed adeguati mezzi linguistici riduce drasticamente la propria capacità di espressione (come diceva don Milani). Ma il dubbio che sorge è che oggi la povertà linguistica esprima piuttosto una diffusa povertà di pensiero.

  5. Vittoria scrive:

    Concordo riguardo alla “povertà linguistica che ci trasmette l’attuale, sempre più vorace, mondo digitale…
    Concordo un po’ meno (anzi dissento) su quanto scritto a proposito del bagaglio linguistico “carente” dei ragazzi provenienti dai licei. Ho la fortuna di vivere in un ambiente didattico-educativo che ha per protagonisti ragazzi di Liceo Classico, Scientifico, Scienze Umane e Linguistico e devo dissentire riguardo al fatto che non sappiano scrivere o che siano incapaci di organizzare ragionamenti o sviluppare e rielaborare contenuti.
    Forse vivo (e lavoro) in un’isola felice (in tal caso sono e mi sento assai fortunata!), ma spesso c’è un confronto così ricco di spunti e contenuti, tra noi e loro, cha quasi mi commuovo nel sentirmi così orgogliosa di come vivano l’ambiente scolastico e le possibilità formative che esso offre quotidianamente.
    Quanto alla conoscenza di altre lingue, non si può non essere d’accordo, vivendo nella prospettiva di un mondo “senza frontiere”… ma non bisogna, a mio modesto avviso, tralasciare il “senso di appartenenza” che ci proviene dal mondo classico… lingue vive da conoscere e studiare per sapersi confrontare oltre confine, ma lingue morte da saper apprezzare e “ringiovanire” perchè è da lì che proveniamo…

  6. Grazia scrive:

    Nella scuola dove lavoro si porta avanti il progetto di “Lettura condivisa” che consiste nell’invitare giovani scrittori specializzati in lettura per ragazzi con i quali viene articolata una lezione in cui è prevista la lettura da parte dell’autore e l’ascolto e l’intervento successivo dei ragazzi. Trovo che questa esperienza possa essere soprattutto di aiuto ai ragazzi più attenti che, non solo leggeranno il libro proposto ma avranno anche piacere di commentarlo con gli insegnanti. Resta sempre, purtroppo, una frangia “resistente” alla lettura cartacea e disposta a dedicare del tempo a ciò che non è tecnologico. Mi auguro che i ragazzi, crescendo, possano capire che, per formarsi una propria idea non basta rifugiarsi nel virtuale ma che occorre allargare gli orizzonti.

  7. Anna scrive:

    Del linguista Tullio De Mauro consiglio il bel libro su gioie e dolori della lingua italiana, scritto insieme ad Andrea Camilleri, “La lingua batte dove il dente duole”. Si tratta di un dialogo tra due grandi intellettuali e fini conoscitori della nostra lingua in cui De Mauro informa anche su alcuni dati dell’Istat, che ha proposto ad un gruppo-campione la compilazione di alcuni questionari dai quali è emerso che 5 italiani ogni 100 sono incapaci di leggere e capire anche qualche parola scritta. Risultano cioè praticamente analfabeti. E solo il 29% di essi riesce a inoltrarsi nella lettura superando il secondo questionario e a rispondere bene al terzo, quarto e quinto questionario. Il 71% non ce la fa, ed è quindi sotto quella soglia che – intenzionalmente – è chiamata la soglia minima “per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana.
    “Basterebbe queste due percentuali . – ricordava De Mauro – per far scattare l’emergenza sociale perché di vera emergenza sociale si tratta, visto che il dominio della propria lingua è un presupposto indispensabile per lo sviluppo culturale ed economico dell’individuo e della collettività”.
    Tullio De Mauro, quanto ci manchi!

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