Pubblicitari, smettete di trattarci da decerebrati da “Il Fatto Quotidiano” del 27.04.17 di Paolo Boggi

28 aprile 2017 di:

…Mi rendo conto di essere fuori tempo per il fatto stesso di riferirmi a contenuti televisivi, ben sapendo che la tv ormai è un ferrovecchio e ha ormai un certo target di pubblico. Ma possibile che nel 2017 ci siano ancora agenzie che puntano sull’attore americano cui fare interpretare scenette improbabili per dirti quanto è buono il caffe, o lo spagnolo che sforna biscotti mentre discute con le galline o il cowboy che in sella a un cavallo ti vuole vendere carne in scatola italiana o decine di altri semplicemente imbarazzanti per superficialità, e per non dire di come presentano le donne che ormai si usano per vendere persino un olio motore

Questo budget, che serve per produrre il contenuto e poi per veicolarlo sui media, e che alla fine ricadrà come sovrapprezzo sul prodotto, è possibile che non possa essere meglio utilizzato puntando a elevare il consumatore piuttosto che trattarlo da ebete? Un po’ di sforzo in più questi “creativi” delle agenzie non guasterebbe, un basta! a questo standard da gag per decerebrati.  Se è vero che è alla fine l’azienda che decide la linea di comunicazione, non possono tuttavia questi professionisti certamente aggiornati, sottolineare che siamo in tempi di contenuti di valore e di “engagement” e non più di superficiale provocazione? E che l’azienda ricaverà in immagine se saprà osare di più? Le pubblicità non faranno mai cultura alta visto che devono essenzialmente vendere, ma è universalmente riconosciuto che siano una forma di cultura “pop”: e allora perché non sfruttarla per un innalzamento del livello generale? Sono certo ragionamenti di un utopista.

Io non so interpretare per ragioni di età questa rivoluzione che il web sta portando anche in questo ambito, e soprattutto i social network. Ma certi segnali mi fanno ben sperare, per il fatto che i gusti del pubblico sono resi subito espliciti. Come nella storia recente di uno studente tedesco che ha realizzato uno spot emozionante per Adidas, l’ha proposto all’azienda ma non ha ricevuto nemmeno risposta. Ebbene una volta pubblicato sul web ha raccolto milioni di visualizzazioni in tutto il mondo. Adidas avrà avuto le sue ragioni per rifiutare il video, ma il segnale è chiaro: il giovane consumatore è stufo del banale, i pubblicitari dovranno adeguarsi (finalmente). Il marketing ne gioverà e anche il nostro cervello!

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