femminicidio, ciò che le statistiche non dicono

25 maggio 2017 di: Giovanna Sciacca

Ancora un primato di cui non andare fieri: l’Italia è il primo paese e, forse, a tutt’oggi l’unico in Europa ad essere stato “bacchettato” dalle Nazioni Unite in materia di femminicidio, termine in precedenza usato ufficialmente solo per l’area centromeridionale dell’America, storico epicentro dell’emersione del fenomeno e radiante della più generale presa di coscienza di una valenza planetaria. Punto di innesco cui si può far risalire l’avvio del percorso di presa di coscienza e del richiamo all’obbligo morale per tutti, primi fra tutti i governi, di dare un senso realmente universale al diritto alla vita e al rispetto della dignità umana senza discriminazioni di genere.

La Corte europea per i diritti umani ha sottolineato la scarsa efficienza delle misure di prevenzione adottate dall’Italia per la tutela dei diritti umani e quindi anche a protezione delle donne, vittime da sempre della violenza maschile ed in particolare del partner. Indubbiamente l’inadeguatezza della normativa rende indifferibile una profonda e tempestiva rivisitazione per migliorarne l’incisività, specie sotto il profilo della prevenzione e, soprattutto, l’efficienza nella loro applicazione. La vastità e globalità del fenomeno dà la misura della sua natura strutturale di cui uomini e donne sono, in qualche modo, vittime, ambedue prigionieri dei rispettivi ruoli e cliché. Stratificazioni secolari dalle molteplici varianti e componenti, ad ogni latitudine sono state, nel tempo, codificate nei rituali perpetuati sugli altari di una malintesa mascolinità cui le donne troppo spesso si immolano o esitano a sottrarsi andando incontro, fatalmente, all’ultimo atto, cruento, scritto dalla persona da cui si aspettano solo amore. Feminicidio è tutto ciò ma, purtroppo, c’è anche molto altro, perché l’eliminazione fisica, per quanto atto di violenza estrema e irreversibile non è il solo modo di uccidere le donne e, in un certo senso non è neanche il peggiore; ve ne sono anche altri, più occulti ed in quanto tali sfuggenti alle convenzionali statistiche. Altri tipi di femminicidio vengono perpetrati giorno per giorno. Le ferite, non esteriori, non sono visibili ai più perché uccidono dall’interno, giorno per giorno, cellula a cellula; uccidono la voglia stessa di vivere, annullano la capacità di ridere, di pensare con la propria testa, di stimarsi, di amarsi.

Un’infinità di colpi, di ferite dentro di noi attraverso cui la vita, impercettibilmente ma inesorabilmente sfugge, lasciando via via un guscio pressocchè vuoto e squallido. Straniate dal mondo e da noi stesse in una asintomatica emorragia dell’anima che spesso troppo tardi rivela la sua reale tragica portata. A quel punto non è facile tappare tutte le falle, riparare i danni, ricostruire un tessuto drammaticamente sfilacciato e tarlato. Lo è ancor meno se ci si ostina a tentare la “resurrezione” solo con le proprie forze. Riappropriarsi di se stesse può rivelarsi un’opera quasi titanica in cui si rischia di naufragare miseramente.

Non è facile resistere da sole alla tentazione delle sirene del rimpianto e dell’illusione, senza cadere inesorabilmente nella trappola dell’illusorio conforto di quei vecchi punti di riferimento distorti e malsani, ma pur sempre familiari che impediscono di voltare l’angolo per entrare in via della salvezza. In realtà non è altro che il bisogno di punti di riferimento noti (ahimè tristemente noti!) che ci restituiscano la rappresentazione di noi stesse che stentiamo a reinventare .

 

 

 

 

 

Commenta questo articolo:







*
AdvertisementAdvertisementAdvertisementAdvertisement