immensa l’ira degli innocenti

19 giugno 2017 di: Anna Trapani

Anita Nair torna al giallo. Dopo il successo di “La ferocia del cuore” ha scritto “L’ira degli innocenti” con tratto crudo e realistico per l’argomento trattato: la prostituzione minorile. L’ispettore Gowda torna in azione in questo ambiente crudele e orribile fatto di rapimento e sfruttamento di minori. Gowda, uomo amante del bere, troneggia nel racconto con il suo cinismo, il suo disincanto ma anche dolcezza e amore per due donne, moglie e amante, così diverse tra loro ma entrambe innamorate di lui; a questo aggiunge un rapporto controverso con il figlio, sfuggente come tutti i giovani ai dettami dei genitori, e che lui non sa come affrontare soprattutto riguardo all’uso di droghe di cui pare il ragazzo faccia uso. All’interno di questo variegato rapporto familiare si innesta il terribile caso di cui l’ispettore dovrà occuparsi. Anzi, due. Perché prima viene assassinato nella sua bella casa un noto e facoltoso avvocato e subito dopo viene rapita la piccola Nandita, di dodici anni, figlia della donna che fa le pulizie in casa di Gowda. I due casi, così diversi tra loro, sono collegati? L’ispettore indaga parallelamente sull’uno e sull’altro trovandosi davanti al marciume dei bassifondi di Bangalore (città dove l’autrice vive), alla crudeltà di un mondo sommerso che non si fa scrupolo di rapire piccole vergini perché il “mercato” le richiede e paga di più per le giovani vergini.

I rapitori e gli intermediari di questo miserabile traffico, anche insospettabili, per farsi obbedire dalle piccole vittime e per soddisfare i loro malsani desideri non si fanno scrupolo di prenderle da dietro per lasciare così la parte più preziosa della “merce” intatta. Tutti a parole condannano i crimini di questa specie ma Gowda deve fare anche i conti con i suoi superiori, alcuni dei quali collusi o conniventi col malaffare e pagati per intralciare le indagini. La fine del romanzo lascia per questo l’amaro in bocca. Nair esce, da questo punto di vista, dalla schiera di gialliste che hanno creato detective e investigatori sempre vincenti alla fine della storia. Il bene trionfa pur tra mille difficoltà. Lei, invece, cala personaggi, protagonisti, storie nella realtà crudele di Bangalore dove i criminali spietati e falsi benpensanti continuano una vita indifferente a tutto tra agi e soldi sporchi di sangue e dell’immenso dolore delle vittime innocenti.

Ecco alcuni passi particolarmente chiari su come il cinismo pervada la vita della gente. Il fido collaboratore di Gowda, Santosh, che nella storia precedente abbiamo lasciato in gravissime condizioni dopo una aggressione, chiede se le persone che cercano non abbiano una coscienza. Gowda risponde: “Non vedono i bambini come tali, o le donne come donne. Sono solo merce, prodotti che forniscono per soddisfare una domanda“. E ancora: “Forse che il fruttivendolo perde il sonno su come vengono affettati i pomodori che vende? E il macellaio piange per la capra che ha venduto pezzo dopo pezzo?” Anch’essi emblematici sono i pensieri di uno dei colpevoli: “Avrei voluto dire loro che nessuno è responsabile per la vita che conduciamo e per le situazioni in cui ci cacciamo. Lo siamo solo noi. Per un po’ si può posare la testa  sul braccio di qualcuno. Dopo di che quello ti si scrolla di dosso. L’unico braccio su cui si può posare la testa per tutta la vita è il nostro”. Peccato che tanta amara saggezza venga da un criminale di mezza tacca invischiato nel fango fino agli occhi.

 

 

 

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