in arrivo nella scuola il diploma “breve”

20 agosto 2017 di: Magdalena Marini

Il percorso che permette di diplomarsi in quattro anni, al posto dei canonici cinque, è stato fino ad oggi sperimentato in dodici scuole italiane. Quella del liceo breve è infatti un’idea non nuova proposta dall’ex Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, partita con una mini sperimentazione nel 2010, bloccata nel 2014 dalla crisi del governo Renzi. Rilanciata dalla Ministra Valeria Fedeli che ha firmato il 7 agosto 2017 il decreto, darà l’avvio ad un Piano nazionale di sperimentazione che coinvolgerà, a partire dall’anno scolastico 2018/2019 licei e istituti tecnici, allo scopo di permettere di livellare l’Italia a molti altri Paesi europei in cui si conclude il percorso delle scuole superiori a diciotto anni.

I ragazzi italiani sarebbero così allineati, per quanto riguarda l’ingresso all’università e ai percorsi post-diploma, con gli altri Paesi europei. Un bando nazionale con criteri comuni per la presentazione dei progetti sarà pubblicato alla fine del mese di agosto, sul sito del Miur. Possono candidarsi sia scuole statali che paritarie. Un’apposita Commissione tecnica valuterà le domande pervenute e i requisiti essenziali dei progetti selezionati. Nel corso del quadriennio un Comitato scientifico nazionale valuterà, nel complesso, l’andamento nazionale del Piano di innovazione e redigerà una relazione annuale da trasmettere poi al Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. I membri del Comitato saranno nominati dal ministro Fedeli al fine di predisporre adeguate “misure di accompagnamento e formazione a sostegno delle scuole coinvolte nella sperimentazione”.

A livello regionale saranno infine istituiti i Comitati scientifici regionali, che, anno dopo anno, invieranno gli esiti della valutazione al Comitato scientifico nazionale. Nessuno sconto è previsto per “accelerare” i tempi: il calendario scolastico sarà inevitabilmente diverso e le ore giornaliere di lezione destinate ad allungarsi. Le scuole dovranno attuare un percorso didattico che garantisca, tramite il ricorso alla flessibilità didattica e organizzativa accordata dall’autonomia scolastica, l’insegnamento di tutte le discipline previste dall’indirizzo di studi di riferimento, in modo da garantire agli alunni il raggiungimento degli obiettivi e delle conoscenze al quarto e non al quinto anno. A titolo di esempio la scuola, per le classi sperimentali, avrà inizio con una settimana di anticipo a settembre per concludersi una settimana dopo, rispetto a tutte le scuole italiane, nel mese di giugno. L’orario si svolgerà per sei ore al giorno per tutta la settimana. Gli alunni potranno seguire corsi universitari e svolgere attività sperimentali di alternanza scuola-lavoro anche all’estero, pratiche di dibattito in pubblico e discussione delle proprie tesi, progetti internazionali e scambi, lavoro a classi aperte utilizzando strumenti hi-tech che agevolino l’apprendimento.

È naturalmente richiesta una forte motivazione allo studio e una grande consapevolezza dell’impegno che comporta. I genitori degli alunni interessati dovranno compilare una domanda di partecipazione ma i potenziali alunni delle cento classi sperimentali dovranno essere selezionati prima di essere coinvolti in un vero e proprio tour de force. I docenti delle scuole secondarie di secondo grado aderenti alla sperimentazione dovrebbero abbandonare il tradizionale metodo di insegnamento e optare per un modello di stampo europeo. Ciò vuol dire aggiornamento continuo in termini di didattica, utilizzo delle tecnologie e ottima conoscenza e uso della lingua straniera.

 

2 commenti su questo articolo:

  1. Adry scrive:

    Quando si parla di eccellenza nei percorsi di studio non si può prescindere da basi solide create con serietà e impegno da parte di tutti, docenti e discenti…e questo presuppone che gli interessati non rispecchino il prototipo dello studente medio presentato nella striscia a fumetti sapientemente scelta dalla redazione ;-)

  2. Gabriele scrive:

    Sarebbe una bella idea che l’Europa prendesse una posizione valida ed invalicabile per rendere tutti equi davanti alle proposte lavorative del mondo moderno.
    È inutile continuare a ragionare per singoli paesi e singole culture quando poi si cercano le proposte lavorative all’estero.
    Globalizzazione? E sia…ma che il paese d’origine ci venga incontro.

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